Come il carattere ti determina (o come vorrebbe farlo)

Che cos’è il carattere? Quanto può inficiare la nostra vita quotidiana e come definirlo?

“Il carattere dell’uomo è costante; rimane sempre lo stesso per tutta la vita. Sotto il mutevole involucro dei suoi anni, delle sue condizioni, persino delle sue conoscenze ed opinioni si trova, come un gambero nel suo guscio, uomo vero e identico, invariabile e sempre lo stesso.” (Schopenhauer, La libertà del volere umano.)

Ordinare, incasellare, etichettare sono principi cari all’uomo. Ma quanto può essere utile questa operazione quando si parla di uomini?

“Breve compendio sopra gli umani caratteri” (Pee Gee Daniel, Catartica edizioni, 2017) è un piccolo volumetto dal fare ammiccante, nel quale già il titolo ostenta, forse un po’ ironicamente, un estro filosofico di cui tuttavia l’autore non pare avvalersi, mostrandoci fin da subito un testo più predisposto al carattere aneddotico-parodico.

Il volume si presenta come un “manualetto, che serve a destreggiarsi un po’ meglio tra i comportamenti” (“Breve Compendio sopra gli umani caratteri”, Pee Gee Daniel, p. 123) e passa in rassegna i vari caratteri fornendo ampie descrizioni ed esempi per ciascuno dei settori presi in considerazione: troviamo – per citarne alcuni – il Cacasotto, l’Egoista che ben si differenza dall’Egotista, l’Entusiasta, il Leccaculo … e via dicendo. L’autore si prodiga nel disegnare quella che si rivela essere una sorta di tassonomia del carattere umano, peraltro mai tentata prima (e verrebbe spontaneo chiedersi il perché).

Assistiamo così, nei suoi vari livelli, a una sfilata di stereotipi e a una ricostruzione divertita di “stra-noti” cliché: si pensi alla figura del “Mai Contento”, che riversa sul prossimo frivole e insignificanti lamentele, o alla casalinga tuttofare che dopo ore di lavoro deve sorbirsi gli ordini e le lagnanze del marito o, viceversa – poiché l’autore per par condicio tratta di entrambe le possibilità – a un uomo che, esausto per il lavoro, si trova rincasando a dover affrontare i rimproveri e i capricci di una moglie lavativa.

A questa narrazione parodistica, dalle sfumature quasi grottesche, si affianca l’altra anima del testo: l’inserzione culturale e la citazione. Personaggi intellettuali e noti si alternano a racconti di miti (si pensi alla storia di Narciso), a stelle del cinema (Vittorio Gassman, Marlene Dietrich) e a figure popolari, nonché casi nazionali come quello di Zanardi: un medley decisamente variegato.

Mettiamo per un attimo da parte l’aspetto esemplificativo e aneddotico, che tanto sembra stare a cuore all’autore, e osserviamo l’ossatura dell’opera. Nel complesso, dal testo si evince una concezione di “pre-determinismo” a cui l’uomo deve sottostare: il carattere condizionerebbe il nostro essere veicolando le nostre azioni, per cui si potrebbe desumere che una schedatura preliminare potrebbe permetterci di analizzare preventivamente le mosse che compiremmo nell’arco della nostra vita. Si tratta di una visione che ci rende “schiavi” non più di Dio, o del Caso che si voglia, bensì del Carattere.

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Pur non concordando in linea di massima con quello che è il caposaldo del libro, ossia la possibilità di riconoscere un’inequivocabile e permanente caratteristica in grado di individuarci e classificarci (proporrei piuttosto una definizione di carattere come un fascio, un insieme di più caratteristiche), giunta alla conclusione del libro, resto tuttavia del seguente avviso: che ogni tanto una risata potremmo anche concedercela.

Per quanto l’ironia protratta e la satira prolungata possano risultare stridenti, va riconosciuta a questo testo la capacità di saper osare, appigliandosi certo a luoghi comuni, ma ben narrati e che lasciano alla fin fine un senso di giocosità ilare, forse anche di parodia filosofica (le intenzioni autoriali in questo senso restano sfumate): una buona voglia di scrollare le spalle e lasciarsi assorbire dalla narrazione. Volendo stare al gioco non resta che il gusto di riconoscere e riconoscersi in questa “stramba sfilata” di caratteri e chiedersi, con un po’ di leggerezza, se estremizzare non sia anch’essa una, seppur particolare, possibile soluzione per tentare di capire gli altri e, perché no, noi stessi.

Claudia Corbetta

Claudia Corbetta nasce a Bergamo nel 1995. Frequenta il liceo scientifico su consiglio dei genitori nonostante l’animo e il cuore siano sempre votati al settore umanistico. Un infortunio arresta la sua carriera atletica da quattrocentista ma le permette di avere più tempo per leggere, scrivere e perdersi in pensieri cavillosi. La sua dichiarata passione per la letteratura la porta a iscriversi alla facoltà di Lettere Moderne di Milano. Legge romanzi e ama la poesia. Ha sempre ritenuto la scrittura una parte fondamentale della sua vita. Giustifica il suo piacere di notomizzare attraverso il linguaggio con una citazione rivisitata di Thomas Mann, per cui se l’autore dei Buddenbrook sostiene che “l’impulso a denominare” equivarrebbe a un “modo di vendicarsi della vita”, la sua giovane età la porta ingenuamente a sostenere che per lei esso sia in realtà un “modo di conoscere la vita”.

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