Annientamento: un film che guarda dentro
Lo spettatore cinematografico è un voyeur. Ormai è talmente assodato che parlarne ancora risulta quasi un’azione anodina; si dà infatti come dogma che il pubblico ami crogiolarsi nel piacere di una visione piacevole. Eppure talvolta accade che un prodotto culturale si manifesti come sfacciatamente ostico, catturando tuttavia la nostra attenzione. Non ci riferiamo al fascino indiscreto del genere horror o splatter, bensì a una sensazione più sottilmente disturbante, come quella presente nel film Annientamento, distribuito da Netflix e tratto dall’omonimo bestseller di Jeff VanderMeer.
Il primo capitolo della Trilogia dell’Area X si configura più che altro come un antiromanzo: inizialmente è difficile provare un moto di empatia per le detestabili protagoniste, appellate per di più in maniera impersonale Psicologa, Antropologa, Topografa e Biologa. L’immedesimazione arriva in seguito, quando il lettore si ritrova vessato, come le quattro donne, dai misteri criptici dell’Area X e dal modo frustrante in cui VanderMeer li descrive. Nonostante ciò, Annientamento si legge fino in fondo, che sia per diligenza o per il campo elettrico attrattivo-repulsivo costituente l’aura del libro, alla stessa maniera del Bagliore che circonda l’Area X.
Nel corrispettivo filmico di Annientamento, diretto da Alex Garland, le protagoniste possiedono invece dei nomi e un background specifico; questo dettaglio, al pari di altri stravolgimenti, ha fatto sì che Garland venisse accusato di essersi discostato eccessivamente dalla storia di VanderMeer. Tuttavia la traduzione efficace non riporta pedissequamente il significato dell’opera originale, ma tenta di renderne il senso profondo, pur cambiando le parole o il loro ordine in una frase. E di fatto la trasposizione cinematografica di Annientamento risulta molto affine alla versione letteraria, poiché, nonostante o proprio grazie alle variazioni, riesce a rispettarne il nucleo principale: la narrazione respingente ma vischiosa. Nel film questa si palesa attraverso differenti aspetti, il primo dei quali non è avvenuto per volere di Alex Garland; il regista infatti non aveva immaginato Annientamento per Netflix, ma il produttore ha ritenuto il film troppo intellettuale e perciò inadatto a un’uscita cinematografica.
Dunque l’estetica visionaria di Garland è stata forzatamente sminuita dal formato ridotto, rendendo la fruizione del film disagevole ma allo stesso tempo più intima e aderente, il che giova alla grande concentrazione richiesta da Annientamento. Non perché la trama sia particolarmente intricata; piuttosto lo sono i personaggi. Di fatto il motivo principale per cui il film risulta fascinosamente faticoso sta nella spirale doppiamente autodistruttiva innescata da Natalie Portman e le altre, che si catapultano in una missione suicida perché se davanti hanno il Bagliore, dietro le loro spalle vi è invece il Dolore. Alex Garland dona alle protagoniste dipendenze, sensi di colpa e tormenti sempre per onorare l’intento repulsivo del libro, non per seguire la regola aurea del cinema che ci spinge a simpatizzare coi personaggi sempre e comunque.
Come è infatti esplicato da Paul Auster nel suo ultimo romanzo, 4 3 2 1, il cinema solitamente rappresenta “il richiamo di un mondo parallelo di d’incanto e libertà, il desiderio di identificarsi con altri e con le loro storie favolose, superlative, l’io che levitava fuori da se stesso lasciandosi la terra alle spalle”. In Annientamento è presente sì un mondo parallelo che tuttavia risulta incantevole solo a tratti, come afferma la stessa Portman quando viene interrogata dai militari al riguardo. Infine noi spettatori siamo riluttanti a identificarci con le storie delle protagoniste, non perché possediamo un cuore di pietra, ma perché il film ci spinge verso l’introspezione, ovvero una delle attività più sfiancanti a livello mentale per l’essere umano.
Chiunque sia mai stato in terapia può confermare quest’assunto. Concentrarsi sul proprio groviglio spirituale richiede uno scavo di fino e lascia svuotati, se si decide di essere davvero onesti. Ed è ciò che succede alle donne della spedizione, messe di fronte ai fantasmi a cui credevano di sfuggire nell’Area X. Eppure la terapia è cubica, possiede più di una faccia; perché la fatica talvolta lascia lo spazio al piacere di parlare di sé, di avere qualcuno che ascolta incondizionatamente i nostri patemi. Annientamento si appropria di queste verità e le trasferisce al pubblico, ammaliato e allo stesso tempo fiaccato dall’abisso in cui sanno scivolare le persone. Guardando il film diventiamo perciò voyeur parziali, in quanto desideriamo e contemporaneamente non desideriamo distogliere gli occhi dallo schermo.
Giulia Sinceri