Napoli Noir: intervista a Maurizio De Giovanni
Napoli, Gran Caffè Gambrinus. Seduti allo stesso tavolo, in un angolo poco illuminato della sala, due uomini parlano a voce bassa. Il primo ha nel piattino davanti a sé una sfogliatella ancora intatta e una tazza fumante di caffé. Il bavero del cappotto alzato nasconde i dettagli di un volto che mi sembra familiare. Una ciocca di capelli sfuggita al controllo gli ricade sul naso affilato. L’altro, un vestito blu e un sorriso gentile stampato sulla faccia, è intento a prendere appunti su un taccuino nero, a raccogliere le confidenze del compagno. La punta della penna stilografica danza sulle pagine al ritmo delle parole. Li osservo incuriosito, gustando il mio sigaro e nascondendomi dietro una nube di fumo, poi l’uomo con l’impermeabile solleva il capo dal suo caffè. Non sembra vedermi, lui non vede nessuno. Il suo sguardo è altrove, trafigge le vetrine del locale. Fuori, in strada, c’è la città con il suo amore, il dolore e la fame. Una città sferzata dal vento in un inverno che si ostina a non andare via. Un istante e i suoi occhi s’inchiodano nei miei. Occhi verdi, spettrali, che sembrano avere cento anni. Occhi prigionieri di un dolore immortale. Sono in grado di riconoscerlo. Luigi Alfredo Ricciardi, Commissario della Regia Questura di Napoli. L’altro smette di scrivere, segue la direzione dello sguardo di Ricciardi e si accorge di me. Chiude il taccuino, lo spinge con la mano verso un angolo del tavolo, poi mi rivolge un cenno di saluto e io ricambio. Maurizio De Giovanni è tornato al Gambrinus per farsi raccontare un’altra storia da quel Commissario degli anni trenta che con i suoi occhi verdi ha stregato l’Italia. L’incontro tra i due è avvenuto per gioco: De Giovanni, impiegato di banca con la passione per la letteratura, viene iscritto dai colleghi a un concorso per giallisti esordienti e lo vince. È la sua opportunità, l’occasione per far conoscere quel poliziotto che vedeva i morti tra le strade napoletane degli anni trenta. È iniziata così, un gioco, e anche oggi, dopo una decina di romanzi pubblicati e tradotti all’estero, Maurizio De Giovanni non ha dimenticato le sue origini: Napoli.
D: I personaggi dei tuoi romanzi, Ricciardi e Lojacono, seguono le tracce di sangue tra i vicoli di una Napoli immortale che, dagli anni trenta a oggi, non ha cambiato faccia. Napoli, capitale della bellezza e della contraddizione, descritta con tale perfezione che il lettore non può fare altro che perdersi negli odori e nei colori dei rioni. La forza che imprimi alle immagini va oltre il talento letterario, deriva dall’amore profondo che nutri per la tua città. Quanto è importante per De Giovanni dare una voce all’anima di Napoli?
R: Napoli non si adatta al ruolo di mero sfondo della vicenda, o di cornice per l’ambientazione. Smette presto di essere una città e diventa un personaggio come gli altri, e pian piano diventa protagonista. In tutte le mie storie, ma in generale in ogni storia che si svolge qui, Napoli impregna di sé la vicenda e i personaggi rendendo la narrazione particolarissima e speciale. Io prendo le voci, le parole e i suoni e le traduco in storie, non faccio altro. Napoli è quindi per me più di un protagonista: è l’autrice.
D: Amore, passione e dolore. Elementi che si intrecciano in un’unica matrice: l’omicidio. Nelle tue storie non si parla del crimine organizzato che infanga le strade ma di delitti causati da “semplici” sentimenti. È proprio il modo in cui mostri i sentimenti a rendere indimenticabili i tuoi personaggi: Ricciardi, il brigadiere Maione, Enrica, il dott. Modo e le loro contraddizioni, un conflitto di emozioni che cresce di pagina in pagina e coinvolge il lettore. In Fondo al tuo Cuore, ultimo romanzo della serie dedicata al commissario che i morti, ne è la dimostrazione lampante. Qual è il segreto?
R: L’immedesimazione. L’assoluta, totale e profonda partecipazione umana e affettiva, emotiva e passionale, nella condizione di ogni singolo personaggio, anche il più secondario e il meno evidente. Non proprio un segreto, ma una regola che mi do ogni volta che comincio a scrivere una storia e alla quale cerco di attenermi con assoluto rigore.
D: Da qualche settimana sei tornato in libreria, questa volta per Rizzoli, con Il Resto della Settimana. Il romanzo sembra imboccare un sentiero diverso rispetto alle tue precedenti pubblicazioni. Niente omicidi, ma passione per il calcio: in qualche modo ci sono sempre i sentimenti in mezzo, mi sbaglio?
R: Non saprei raccontare di altro che dei sentimenti, e nemmeno mi interesserebbe. Ammiro gli autori in grado di raccontare trame intricate che coinvolgono delitti finanziari e organizzazioni criminali, ma io non ne sarei capace. “Il resto della settimana” è il racconto, spalle al campo, di quello che un fenomeno come il calcio può provocare in una città piena di sentimenti e così facile alle passioni come Napoli, che esprime a voce alta tutto quello che le passa per il cuore. Mi sono divertito da morire, e mi sono anche molto commosso; spero che accada lo stesso ai lettori.
D: La cosa che affascina di più è la tua storia di scrittore, il modo in cui la tua passione per la letteratura è riuscita a portarti alla grande editoria. A questo punto dell’intervista, dovrei chiederti quali sono i tuoi consigli per gli autori che sgomitano per emergere, ma voglio invece concentrarmi su un altro aspetto, ovvero il De Giovanni lettore: di che libri ti nutri?
R: Sono sempre stato, rimango e rimarrò essenzialmente un lettore. Credo che la scrittura sia un fatto eventuale, momentaneo e casuale nella mia vita, e intendiamoci: ne sono assolutamente felice e molto gratificato. Mi manca molto, però, dover leggere cose che non decido di leggere: libri da recensire, prefazioni, fascette e quarte di copertina da redigere, saggistica da studiare per poter scrivere le mie storie per le quali mi documento attentamente. Adoro comunque la letteratura latino-americana, a mio parere il fatto più importante dell’ultimo secolo, e alcuni enormi autori europei e anglo sassoni come la Kristof. Leggo comunque di preferenza i grandi scrittori italiani contemporanei, come Carlotto, Carrisi, De Silva di cui non perdo un’uscita.
Antonio Lanzetta