Parlare non è un rimedio: lo sguardo esterno di Valentini
La mattina lei si sveglia, si toglie le coperte da dosso prima con le mani e poi con i piedi, scoprendo anche lui, guarda la sua schiena nuda, illuminata solo da una luce che proviene dalla finestra. È giorno, forse le sei o le sette del mattino. Questo di preciso lei non lo sa.
Si alza e si veste senza fare rumore. Poi va in cucina, si versa una tazza di caffè freddo dalla moka e osserva la credenza. La farfalla è ancora lì, con le ali dischiuse sembra un fiore colorato. Lei la guarda, sorride, poi prende il giornale arrotolato e la schiaccia sullo sportello.
Una macchia grigia rimane sulla credenza.
[Parlare non è un rimedio, in Id., Valerio Valentini, D editore, p.67]
Parlare non è un rimedio
Il titolo dell’ultima raccolta di Valerio Valentini, autore al suo terzo libro, è lo sguardo rassegnato sul modo in cui viviamo. Parlare non è un rimedio. Ma è anche, dopotutto, una dichiarazione d’intenti, un manifesto contro la risoluzione di tutti i problemi, contro l’idea che tutte le relazioni possano essere salvate.
In un certo senso, i racconti di questa raccolta – o “libro di racconti”, come specifica spesso l’autore. Ne parla anche nell’intervista che gli abbiamo fatto – sono la narrazione di un esterno. Un esterno che guarda una scena che – insomma – non gli compete. Una scena che è solo un qualcosa da riportare, senza che ci sia giudizio, senza che si possa prendere una posizione. Perché quello di cui si parla è la vita, quella di tutti i giorni, quella che non c’è altro modo di programmarla se non vivendola giorno per giorno.
E se potremmo aspettarci – con una focalizzazione esterna – questo tipo di approccio in racconti in terza persona, stupisce come lo stesso approccio sia riservato a quei racconti – e sono la maggioranza – che sono narrati in prima.
Ed è qui, forse, il vero punto della questione. Perché i protagonisti di Valentini guardano la propria vita – non quella altrui, di chi, in fondo, chi se ne frega –, la propria vita, il proprio mondo, con una malcelata indifferenza. Le cose vanno come vanno, e c’è modo solo per abbandonarsi agli eventi, lasciarsi travolgere, e talvolta, se siamo fortunati, dare qualche bracciata per aggiustare un po’ la direzione e non finire completamente contro gli scogli.
Lo sguardo, la parola, l’oggetto
Il titolo, dunque, ci suggerisce un modo per evitare quel luogo comune. Davanti a un problema, sembrano raccontarci i protagonisti di questi racconti, non sempre le parole possono portare la pace. Non sempre ciò che è rotto si può aggiustare. Cosa si può fare, allora?
Nei racconti di Valentini molto lo fanno i silenzi, veicolati dagli sguardi. Gli occhi sono le bocche mute che portano consapevolezza, che trasmettono empiricamente ciò che l’uno o l’altro stanno provando in quello specifico momento.
Ma relazioni non significa solo amore, né significa solo rapporti con altri esseri umani. Le relazioni per Valentini sono rappresentate anche dal rapporto con oggetti, con ricordi. E – vien da sé – in questi esempi il titolo e la mancanza di parole assumono una connotazione ancora diversa e più riflessiva.
Perché se è vero che i protagonisti del libro sono persone che guardano la propria vita con un certo distacco, è pur sempre la loro vita, e tutto ciò che vedono, tutto ciò che sentono, riguarda la loro interiorità, il loro sentirsi – nonostante tutto – vivi.
Maurizio Vicedomini