Quel mondo oltre. Vinpeel degli orizzonti, Peppe Millanta
Dinterbild non è Macondo. Sembra un microcosmo a sé, certo, sembra una realtà in cui il tempo non passa mai davvero. Ma sono due cose diverse.
Dinterbild non è Wall. Vi arriva un neonato, ed è un mondo apparentemente inaccessibile se non per un’unica – reale o metaforica – entrata.
Dinterbild è la cittadina che fa da sfondo a Vinpeel degli orizzonti, il primo romanzo di Peppe Millanta per Neo. Edizioni. Come nelle fiabe, è normale che un luogo – o un non-luogo, che dir si voglia – richiami altri luoghi o non-luoghi. È normale perché l’immaginario condiviso è impossibile da scindere in immaginario individuale. Questo libro, però, non è una fiaba: è un romanzo con un target abbastanza ampio da racchiudere grandi e piccoli.
Un villaggio come tanti
La prima impressione che abbiamo leggendo di Dinterbild – che è, al pari di Vinpeel, protagonista del romanzo – è di un vecchio villaggio rustico uscito fuori da qualche libro di favole. La chiesa, la locanda dal nome buffo, il locandiere irascibile, il matto del villaggio. Ci sembra, insomma, che non possa essere lì, a Dinterbild, la vera azione del romanzo, la vicenda che di sicuro Millanta vuole raccontarci. Eppure, è tutto lì. Nemmeno per un istante abbandoniamo Dinterbild, nemmeno per un momento la vita del mondo oltre il villaggio entra nella sua realtà.
Lo capiamo piano piano. Lo capiamo perché Vinpeel ci mostra come non sia un romanzo di avventure, il suo, non del tutto, ma un romanzo fatto di speranze e sogni da realizzare, fatte di rimpianti da appagare, e di nuove prospettive da raccogliere dove nessuno più ha il coraggio di guardare.
Lo capiamo, inoltre, perché il romanzo di Vinpeel è il romanzo di Dinterbild e dei suoi abitanti. Non è tanto questione di lasciare il villaggio per nuove avventure: le avventure sono lì, sono dentro il ragazzino, il matto, il locandiere, il prete. Sono nelle conchiglie che portano storie e ricordi.
Emozioni e influenze
Si parlava di influenze, in apertura. Sebbene trovi assai plausibile che Gaiman fosse nei pensieri dell’autore quando ha concepito questo libro, soprattutto nelle fasi iniziali, Vinpeel degli orizzonti si distacca ben presto dal modello di Stardust per raccontare una storia sulla crescita, una formazione che va ben oltre il normale processo educativo (e naturalmente biologico) di un bambino, ma si inserisce nella comprensione di ciò che le emozioni possono significare, e di come la loro scoperta rappresenti via via un modo nuovo per conoscere il mondo.
Sebbene Vinpeel sia il protagonista assoluto del libro, è forse il personaggio di Mune – ragazzina arrivata al villaggio per vie misteriose – a ricoprire l’aspetto più allegorico, come se – con l’aiuto del fido Vinpeel – possa partire da una condizione di totale inconsapevolezza e scoprire se stessa attraverso il mondo. Il punto è infatti questo: come possiamo capire davvero qualcosa, se non l’abbiamo mai vista, mai provata, mai assaporata? E con un’emozione, come faremmo? Nel modo dei bambini: con un’associazione, con un legame chiaro a qualcosa che conosciamo, a qualcosa che può permettere a quell’emozione di venir fuori.
Un’altra influenza – questa volta sul lato stilistico – sembra essere il primo Baricco. Sin dal principio il modo di narrare di Millanta ha riportato alla memoria l’autore di Oceanomare. Qui è forse meno bravo, Peppe Millanta, a divincolarsi. Ma nonostante l’evidenza, lo stile e il ritmo che l’autore riesce a imprimere nel libro sono indicativi di un timbro personale, un modo di narrare a metà fra il fiabesco e il romanzesco. Un narrare leggero – nel pieno significato calviniano – che dà corpo alle vicende senza mai scadere nella pesantezza che molti argomenti trattati potrebbero meritare.
Un’infanzia di nome Doan
Un ultimo appunto è per il coprotagonista, Doan. Un ragazzino che è una frequentazione problematica per Vinpeel, o almeno così ci sembra di capire in prima battuta. Eppure non riusciamo a renderci conto del motivo. Lui cerca una forma specifica fra le nuvole, anche se non sa ancora quale. La cerca per ritrovare qualcosa che ha perduto, o che forse non ha mai avuto davvero.
Doan è lo specchio di ciò che Vinpeel prova davvero, di ciò che si porta dentro e non è forse mai riuscito a esternare – nemmeno con se stesso, soprattutto con se stesso. E magari – al di là delle motivazioni squisitamente narrative per le quali viene suggerito a Vinpeel di non vedere più Doan – è proprio questo il motivo per cui non dovrebbe farlo: perché rappresenta tutto ciò che non riesce ad ammettere a se stesso, il riflesso della sua infanzia e dei problemi che comporta, il rapporto spezzato con suo padre, i silenzi che riempiono la sua vita, e quella sensazione – sempre viva nel suo cuore – che ci sia qualcosa, là, oltre l’orizzonte. Qualcosa che valga la pena di essere scoperto.
Maurizio Vicedomini