Racconto: Caino (dov’è Abele, tuo fratello?) – Nicolò Donelli
Sembrava un fiore col gambo sciancato.
«Dov’è Abele, tuo fratello?».
Riposava all’ombra di un cedro, le gambe stanche e la sete implacabile.
Si assopì, e al risveglio una bambina era seduta al suo fianco, vestita di stracci e senza calzari.
«Perché sei solo?», gli domandò lei.
«Sto fuggendo».
«E dove vive, chi fugge?».
«Ovunque e in nessun luogo».
«Come si fa a uccidere il proprio fratello?».
Lui si alzò di scatto. La bambina era scomparsa.
Sotto un sole cocente, camminava ramingo sulla terra arida, in attesa che la voce gli parlasse ancora.
«Dov’è Abele, tuo fratello?».
Troppo penetrante la domanda, e superflua la riposta.
La tortura dell’uomo solo è non poter condividere il suo senso di colpa.
Ogni notte, il freddo gli apriva le piaghe nella pelle.
Non aveva di che coprirsi.
Le stelle sopra di lui brillavano meno.
Mi manca mia madre, pensava.
Un giorno presso un lago incontrò Satana, e Satana aveva il suo stesso volto.
«Lo sai che sono io l’unico che può capirti?», gli disse Satana.
«Lo so», rispose lui.
Allora Satana gli prese la mano e gli sorrise. Poi lo cinse a sé, come solo sua madre, una volta, era solita fare.
Qualche tempo dopo, in lontananza, scorse il profilo di una città. S’incamminò verso le case basse e piatte, fino al punto in cui la polvere lasciava spazio ai sassi. Chiese ospitalità a un uomo che viveva con suo figlio piccolo, l’uomo gliela concesse. Mangiò pane e bevve acqua, poi si accomodò sul suo giaciglio e chiuse gli occhi.
«Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto, lontano dal suolo che ha aperto la bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra».
Lui, stremato, si alzò in piedi e volse lo sguardo in alto.
«Tu non hai un fratello, non hai una madre, né un padre o un figlio!
Tu sei troppo in alto, troppo lontano per capire un uomo!
Per questo, io ti maledico, cane rognoso che non sei altro!».
Chiuse ancora gli occhi e si sdraiò per terra.
La voce parlò di nuovo, lui si mise le mani sulle orecchie per non sentire.
Il mattino dopo, un grido lancinante. Si alzò e andò nell’altra stanza, non trovò nessuno. Uscì fuori, appena davanti alla casa. L’uomo era a terra, il figlio esanime tra le braccia.
Il campo di grano di fianco alla casa completamente bruciato.
«È questo, Caino! È questo ciò che accade a chi dà ospitalità ai traditori del loro sangue!».
«Lui non sapeva! Non poteva sapere!».
«Ho posto un segno su di te. Chiunque ospiterà Caino verrà punito sette volte!».
La gloria di Dio si manifesta così.
Andò nel deserto, senza cibo e senza acqua, gli occhi bruciati dal sole.
Era solo, malediceva il Signore.
Cosa cerchi?, si ripeteva.
Vide un tronco senza rami.
Andò lì ad appoggiare la sua schiena.
Mamma, ti prego!, le uniche parole che riusciva a pronunciare.
All’orizzonte scorgeva Eden, lontano e irraggiungibile, dimora perduta dei suoi genitori.
La notte stessa, Satana tornò a fargli visita.
Non riusciva a vedergli il volto, ne udiva solo la voce e il respiro lieve.
«Non dev’essere per forza così», gli sussurrò Satana all’orecchio.
«E come potrebbe essere?», fece lui.
«Lo sai, qual è la via».
«Non ne ho il coraggio».
«L’hai fatto sul tuo sangue, puoi farlo su te stesso».
All’alba si alzò in piedi e si allontanò.
Piangeva, attorno a lui polvere e vuoto.
«Stai pensando di farlo, Caino?», disse la voce.
Non rispose, continuò a camminare.
Altra notte, ancora freddo.
Sognò Abele.
«Sei qui?», gli chiese il fratello.
«Qui non è in nessun posto», rispose lui.
Abele si sedette per terra, nel luogo in cui Caino aveva alzato la mano su di lui.
«Perché stai lì?», gli domandò Caino.
«Non posso muovermi, lo sai», rispose Abele.
Si svegliò, era ancora notte.
Il passo si faceva sempre più lento, le membra piegate dal peso dell’esserci ancora.
Capì che avrebbe potuto lasciar fare al tempo quello che stava pensando di fare con le sue stesse mani.
Doveva solo camminare.
«Non succederà, fedifrago bestemmiatore! In questo modo la pena non sarebbe espiata!», gli gridò la voce.
«Quanto durerà la pena?».
«Sarà eterna. Ma ricorda, è solo colpa tua!».
«Essere un uomo? È forse questa la mia colpa?».
Gli sovvenne il giorno del sacrificio al Signore.
Aveva lavorato la terra, quello che sapeva fare, e aveva donato al Signore i frutti migliori.
Perché quel cane aveva scelto Abele?
Mentre pensava queste cose, le sue gambe cedettero.
Cadde a terra in avanti, come un tronco tagliato di netto o il gambo di un fiore spezzato per sempre.
C’era Satana, accanto a lui, gli accarezzava la nuca e beveva il suo sangue.
Lui si voltò, Satana aveva il volto di Abele.
«Ha scelto me perché so ingannare meglio», gli disse Satana con un ghigno sul volto.
«Perché mi hai fatto questo?», chiese lui con un filo di voce.
«Perché io sono così. Un uomo come te».
Si alzò in piedi, le gambe gli tremavano.
Un’altra bestemmia e cadde di nuovo, picchiò la testa contro il suolo.
Un verme con la coda mozzata gli strisciava vicino al naso.
Nicolò Donelli