Una VHS. Omaggio a Luke Perry (e a Berverly Hills, 90210)
Beverly Hills, 90210 è stata trasmessa in Italia a partire da novembre 1992, quando ero al secondo anno di liceo. La nostra età anagrafica coincideva con l’età dei personaggi. Per il resto non avevamo nulla, ma proprio nulla in comune. O forse qualcosa sì, qualcosa che intuivamo ma non sapevamo ancora spiegare lucidamente.
Il sole della California somigliava al sole di Siracusa, quello poteva anche starci, ma le spiagge sterminate della West Coast, l’oceano con le onde da cavalcare su una tavola da surf, gli armadietti metallici della scuola, i campi da basket… no, tutto quello era sogno. Persino gli hamburger del Peach Pit ce li sognavamo, anche perché nei primi pub del centro ce li servivano tutti rivisitati in salsa siracusana e in città non c’era neppure un McDonald’s che ci desse una parvenza di autentica americanità nella gastronomia locale. Eppure Beverly Hills piaceva, nonostante raccontasse di un mondo così distante.
Bravi ragazzi e teste calde
A sedici anni guidavamo a malapena una motocicletta, ma solo se avevamo passato l’esame della patente e se avevamo dei genitori abbastanza sconsiderati, mentre Brandon e Dylan guidavano macchine d’epoca dalle curve e dalle cromature invidiabili. Ma soprattutto, i personaggi avevano una libertà inimmaginabile. “Ti rendi conto?” era il commento di uno dei miei migliori amici al tempo del liceo. “Dylan ha passato tutta la notte fuori casa. Tutta la notte a giocare a biliardo, senza rientrare”. E mentre il mio amico commentava questi dettagli, io sistemavo sul panno verde le nove sfere disposte a rombo, perché dopo la puntata in questione ci eravamo fissati a giocare la variante americana del pool, quella a 9 palle anziché 15. Ecco, bastava una sola scena in tivù per farci cambiare idea sulla carambola e i birilli, per farci convertire di nuovo al pool dopo averlo snobbato in favore di un tavolo da grandi, un Hartes dal panno riscaldato su cui giocare alla goriziana.
Se Brandon Walsh era il bravo ragazzo, coscienzioso e diligente, Dylan McKay era il ribelle dalla testa calda. Non esiste un articolo che non si riferisca a questo personaggio senza sare l’aggettivo “tenebroso”. Da adolescenti si parteggia sempre per il lato della ribellione, per cui il personaggio di Luke Perry era leggermente preferito. Un fine settimana, addirittura, così sprovvisti di social media e di intrattenimenti digitali, arrivammo a organizzare un remake della serie televisiva. Era il classico esempio di come la televisione fosse ancora in grado di generare codici e sottoculture che legassero gruppi di spettatori più o meno omogenei, come la gran parte degli adolescenti in un liceo di provincia. Io avevo una telecamera che registrava direttamente su VHS e avevo anche preparato un copione. Tra i miei compagni e compagne di classe c’erano già coloro che si identificavano più di altri con questo o quel personaggio, per cui non era necessario litigare o fare un casting. Ognuno aveva il suo ruolo. Avevamo anche un set strepitoso, la casa di una nostra amica benestante che viveva in una villa con piscina e ascensore, che più di ogni altra abitazione si avvicinava agli standard di Beverly Hills.
Lezioni da una vecchia VHS
Non so che fine abbia fatto quella cassetta, né ho la più pallida idea di dove sia il copione su cui avevo scritto dei dialoghi banalissimi (dopotutto la scuola Holden non l’avevano ancora fondata). Quello che so con certezza è che:
a) rifare un’opera è un’operazione di grande rispetto, un omaggio all’originale;
b) ci divertivamo a imitare il prodotto mediatico più mainstream dell’epoca senza mai lasciarci sfiorare dai cattivi esempi (Dylan beveva, da noi non girava nemmeno una birra);
c) i ragazzi di Beverly Hills erano completamente diversi da noi, ma la cosa più importante che potevamo avere in comune era universale: provavamo gli stessi sentimenti, le stesse frustrazioni, gli stessi timori e le stesse aspirazioni di adolescenti, che non cambiano in base al censo, alle coordinate geografiche o alla cultura.
Giuseppe Raudino