Poetesse Italiane del Novecento: Amelia Rosselli
Spesso l’abitudine refrattaria di categorizzare e far gravitare un gruppo vasto di autori intorno ad un’unica etichetta non consente di poter cogliere le sfumature delle esperienze letterarie e di vita, che inevitabilmente si intrecciano, di ciascuno di essi. Sarebbe troppo facile puntare il dito e battezzare come “poeta maledetto” qualsiasi scrittore nella cui vita abbia fatto visita il tormento, il dolore ed un inspiegabile senso di inappartenenza.
Ogni poeta è un unicum straordinario. Una delle caratteristiche più totalizzanti delle espressioni artistiche è che non conoscano confini ben delineati. Ogni esperienza poetica e di vita sono a sé stanti e così lo sono quelle di Amelia Rosselli (Parigi 1930- Roma 1996).
La fuga e l’arrivo in Italia
La vita della Rosselli è sin dall’inizio canalizzata verso una condizione dalla quale non riuscirà mai più a liberarsi: una vita da rifugiata (come lei stessa si autodefiniva). Amelia nasce a Parigi. Proprio qui suo padre, Carlo Rosselli, viveva come esule antifascista. La fuga del padre a Parigi sarà sintomatica di tutta l’esperienza di Amelia; il do che darà il via all’itinerario geografico che lei percorrerà è il tragico assassinio del Rosselli senior e dello zio della Rosselli, ordinato da Benito Mussolini, per mano delle milizie fasciste.
Così nel 1937 Amelia si trasferì in Svizzera e da lì poi in Inghilterra per poi arrivare in Italia nel 1946. Nella penisola conobbe molti avanguardisti che avrebbero formato il gruppo 63’ e catturò l’attenzione di Pier Paolo Pasolini. Infatti, colpito da Amelia, decise di rendere pubblici ventiquattro componimenti della stessa sulla rivista Il Menabò diretta da Italo Calvino.
Questi componimenti sarebbero poi confluiti nella sua prima raccolta di poesie Variazioni Belliche, edita nel 1964 presso Garzanti. Pasolini fu piacevolmente attratto dall’irregolarità grammaticale e compositiva della Rosselli. Era un’irregolarità oggettiva e che trovava una sua sinistra ma perfetta armonia musicale. Infatti, la dimensione musicale era congiunta con quella poetica(conseguì studi nella etnomusicologia). La poetessa dichiarò:
[…] Una problematica della forma poetica è stata per me sempre connessa a quella più strettamente musicale, e non ho mai in realtà scisso le due discipline, considerando la sillaba non solo come nesso ortografico ma anche come suono, e il periodo non solo un costrutto grammaticale ma anche un sistema. […][1]
La ricerca, il tormento e l’incertezza…
La dimensione poetica e musicale della poetessa parigina è caratterizzata da note malinconiche e intessuta da parole dimesse. Sembrò che la fuga, il senso di inappartenenza che aveva inaugurato la sua vita non riuscisse a scrollarselo di dosso. Anzi, la sua vita era una continua lotta, una continua ricerca del senso. Questa era la prerogativa della Rosselli: la ricerca. La ricerca di un porto? Di radici? La tensione di questa ricerca si esprime in ogni suo componimento. Una disperazione totalizzante e tragica governa la sua vita in uno sfondo obliquo che non le regalò mai un po’ di pace.
Leggiamo da Variazioni Belliche :
Se non è noia è amore. L’intero mondo carpiva da me i suoi
sensi cari. Se per la notte che mi porta il tuo oblio
io dimentico di frenarmi, se per le tue evanescenti braccia
io cerco un’altra foresta, un parco, o una avventura: –
se per le strade che conducono al paradiso io perdo la
tua bellezza: se per i canili ed i vescovadi del prato
della grande città io cerco la tua ombra: – se per tutto
questo io cerco ancora e ancora: – non è per la tua fierezza,
non è per la mia povertà: – è per il tuo sorriso obliquo
è per la tua maniera di amare. Entro della grande città
cadevano oblique ancora e ancora le maniere di amare
le delusioni amare.
L’intero componimento è retto dalla struttura del periodo ipotetico da cui traspare la continua incertezza e labilità della ragione che orientano la penna della Rosselli che sembra non trovar mai un quiete. Il “se…” è la colonna portante di un continuo senso di ricerca. Nemmeno l’amore può essere una soluzione definitiva che possa placare il suo tormento. L’amore si trasfigura in un sorriso obliquo fugace e nella delusione: l’amore è amaro.
Una sinistra coincidenza
Amelia Rosselli amò fortemente Sylvia Plath e tradusse molti suoi componimenti ma un dettaglio, macabro e drammatico, legò le due autrici: il tragico epilogo. Entrambe si sono tolte la vita l’11 febbraio a distanza di trentatré anni l’una dall’altra. Un prematuro congedo della Rosselli sembrò già profilarsi in alcuni versi, scritti molti anni prima il suicidio:
L’alba a rintocchi cade
Sulla mia testa ammalata
Il difficile umore m’assale
Verde come la paura
Da Variazioni belliche
Valentina Grasso
[1] Spazi metrici [1962], in Antologia poetica, Milano, Garzanti, 1987