La memoria cambia il passato. Dopo lo spettacolo, Hirano Keiichiro
Se c’è una costante nella nostra vita – nonostante la fantascienza cerchi di proporre alternative – è che il passato non si cambia. A ciò che è accaduto possiamo porre rimedio solo con azioni seguenti, ma non potremo mai cancellare davvero un evento che è già avvenuto.
Anche in campo fantastico o religioso, se vogliamo, è così. Una resurrezione segue sempre la morte, non la cancella.
Se poi volessimo considerare la possibilità che ciò sia fattibile, incorreremmo in problemi enormi. Il passato ci rende ciò che siamo, nel bene e nel male, nell’individuo e nella società. Il passato, insomma, è una scultura di granito, inalterabile, indistruttibile.
Una stessa pietra
Questo, però, è ciò che diciamo considerando il passato come oggetto in sé, ma sappiamo bene – la filosofia ce lo insegna – che non è importante solo il noumeno, la cosa in sé, ma anche il filtro che i nostri sensi ne fanno. Un daltonico vedrà il colore di un determinato oggetto in maniera differente rispetto agli altri. Quell’oggetto resta del suo colore, a prescindere dagli occhi del daltonico, è chiaro. Ma la percezione che quell’individuo ne ha è necessariamente diversa da quella degli altri.
Allora, se il passato non può cambiare – la scultura è e resta quella che è – lo stesso non si può dire della nostra percezione di quel passato. La percezione cambia, e dunque – per noi, in un modo del tutto personale e soggettivo – il passato può cambiare.
È questo il tema al centro di Dopo lo spettacolo, il romanzo di Hirano Keiichiro che Lindau ha portato in Italia. L’autore – accostato nel suo stile a Mishima – ce lo mostra fin dalle prime battute. I due personaggi principali, Makino e Yoko, si ritrovano dopo un concerto di lui a una cena. Qui Yoko racconta un fatto bizzarro: sua nonna è recentemente morta battendo la testa su un sasso del suo giardino. Un sasso – Yoko lo ricorda bene – con il quale da bambina ha spesso giocato.
Ecco come viene introdotta la percezione del passato. Quella pietra, che inizialmente ha solo valenza positiva, si carica di un valore negativo aggiunto nella memoria di Yoko. Non potrà più pensarvi senza ricordare anche la morte della nonna.
Vite in ricostruzione
Il romanzo sviscera questa tematica nel raccontare le vite dei due protagonisti. Makino Satoshi è un chitarrista classico, una sorta di genio delle sei corde la cui fama travalica i confini del Giappone. Komine Yoko è una giornalista, inviata in Iraq per la stampa internazionale. Le loro vite si toccano più volte, in maniere non sempre convenzionali (lei ascolta la sua musica per darsi forza in Iraq, lui pensa a lei come un momento nel tempo capace di mettere ordine nella propria vita), e nel farlo, vanno avanti e indietro, si proiettano nel futuro e al contempo riscrivono il proprio passato acquisendo nuove informazioni.
Il modo in cui Makino e Yoko vivono la propria conoscenza è un insieme di scelte, incontri e coincidenze, un intreccio di azioni e reazioni che li porta di volta in volta ad avvicinarsi, a sfiorarsi, pure, e poi di nuovo agli antipodi.
Una storia d’amore, dunque, quella che si sviluppa in Dopo lo spettacolo, ma anche e soprattutto una storia di due vite separate che cercano un modo di andare avanti, di affrontare i propri problemi e i drammi che la vita gli costruisce intorno. E nel farlo, Hirano Keiiciro affronta temi come la geopolitica, il terrorismo, l’importanza della musica, i traumi, i rapporti parentali e amicali, e lo fa in un modo così naturale da non pesare affatto sulla narrazione.
Un attimo che cambia tutto
C’è un momento, verso il centro del libro, in cui si mette in moto un complesso sistema di coincidenze e azioni che portano a uno scombussolamento totale e – apparentemente – senza ritorno delle vite dei protagonisti. È contorto al punto da apparire inverosimile e costruito ad arte, quasi l’autore volesse dirci che la storia doveva andare in quel modo, e non c’era altro verso per farle prendere quella direzione.
Eppure, dopo quel momento di sincero fastidio, ci si rende conto che l’artificiosità di quell’attimo – così importante nella vita dei personaggi e nell’economia della narrazione – è simbolo di una grandissima disattenzione. Non dell’autore, però: dei protagonisti. Quell’attimo nel tempo si è potuto verificare solo perché entrambi, Yoko e Makino, erano concentrati sul passato e sulle prospettive future. Entrambi, in modi molto diversi, erano persi in questi flutti lontani. Ed è proprio in quel momento che il presente li ha colpiti.
E allora, se è vero che il passato si può riscrivere acquisendo nuove conoscenze e informazioni, modificando il nostro punto di vista, Hirano Keiichiro è altrove che mette il punto: sul presente, il momento più importante che può cambiare per sempre le nostre vite.
D’altronde, lo stesso titolo del romanzo Dopo lo spettacolo restituisce un dualismo: un “dopo” – ovvero un qualcosa di futuro – rispetto a qualcosa che vi è precedente e già avvenuto, lo spettacolo, il passato. Ed è nello scarto fra queste due prospettive che si trova lo scambio ferroviario del destino. Basta battere gli occhi per qualche istante di più e saremo già lontani. La vita come la conoscevamo è già tutta alle spalle.
Maurizio Vicedomini