Intervista a Enrico Berti. L'”anima” di Aristotele, la conoscenza e l’importanza della Filosofia
In una soleggiato martedì di ottobre, un Frecciarossa partito da Firenze ci conduce in una delle città più belle del Nord Italia, Padova. Non l’avevo mai visitata, e, ogni volta che metto piede in una città nuova ai miei occhi, cerco sin da subito di capire se vengo accolto, non tanto dai suoi abitanti, ma dalla sua architettura, dai suoi spazi.
Il mio soggiorno è stato breve, quindi non ho potuto raccogliere elementi sufficienti per scorgerne un’identità precisa, ma ho amato le vie del centro, i portici che conducono a un bivio o a una piazza, gli angoli meno frenetici, i suoi negozi.
Nel pomeriggio non potevamo non fare tappa nella cappella degli Scrovegni, per ammirare i magnifici affreschi di Giotto, considerati uno dei capolavori dell’arte occidentale. Il motivo della mia visita però non era turistico; il giorno seguente avrei dovuto incontrare Enrico Berti, filosofo e studioso che ha dedicato gran parte della sua vita al pensiero di Aristotele; è inoltre presidente onorario dell’Istituto internazionale di filosofia.
Nonostante non sia più un giovane studente, mi ha accolto nel suo studio della facoltà di Lettere e Filosofia con animosa e spigliata gentilezza.
Professore inizierei con una domanda in parte personale, perché ha deciso di dedicare la sua vita al pensiero di Aristotele?
Ho iniziato a occuparmi di Aristotele quando ero ancora studente qui a Padova. Quando decisi di dedicarmi alla tesi di laurea mi rivolsi a un professore che mi era sembrato particolarmente interessante, Marino Gentile. Gli parlai dei miei interessi, i quali vertevano intorno al dibattito sulla metafisica, in particolare le obiezioni che la filosofia contemporanea muoveva contro la metafisica, rappresentate dalle maggiori correnti come il marxismo, l’esistenzialismo, il positivismo, le quali erano ostili alla metafisica. Il professore mi consigliò di leggere la Metafisica di Aristotele, testo che avevo già letto per alcuni esami universitari. Leggendola mi accorsi che c’erano molte cose ancora da chiarire, nonostante Aristotele venisse considerato dai miei stessi colleghi come un filosofo superato; forse questo dovuto anche all’isolamento culturale che l’Italia subì a causa della guerra, e della presenza dello storicismo di Giovanni Gentile e Benedetto Croce.
In altri paesi d’Europa era ancora un filosofo attuale, soprattutto nella filosofia Inglese, all’interno del contesto della riflessione del linguaggio quotidiano; studiosi inglesi discutevano continuamente Aristotele. In Germania, Heidegger, uno dei più grandi filosofi del secolo scorso, dedicava un’attenzione grandissima ad Aristotele. Nel tempo ho continuato a occuparmi di Aristotele, scoprendo sempre di più di come fosse attuale. Oggi Aristotele nel mondo è uno dei filosofi più studiati e considerato come un interlocutore, al contrario di quelle correnti che oggi sono pressoché sorpassate.
Questa è l’ennesima prova della grandezza di Aristotele. Ricordo che in una sua intervista ha sottolineato un aspetto delle opere di questo grande filosofo che ho trovato molto interessante, il quale anche io ho riconosciuto quando studiavo i suoi scritti, e cioè che, a ogni nuova lettura, emergevano nuovi elementi e ulteriori spunti di riflessione, come se fosse la prima volta che li leggessi.
Guardi lei mi ha tolto la parola di bocca! È una delle cose che volevo dire. Anche per me che leggo Aristotele ormai da sessant’anni anni, ogni volta che lo leggo vi trovo qualcosa di nuovo, tantoché ho dovuto correggere alcune delle mie interpretazioni dei miei primi libri su Aristotele, che oggi non scriverei più. Dapprima fui molto influenzato dalla tradizione aristotelica, rappresentata dal mondo islamico e cristiano, una tradizione per la quale Aristotele era il filosofo di chi voleva dare una base filosofica a chi aveva una fede religiosa. Successivamente, mi resi conto di come in verità Aristotele non aveva minimamente questo problema; l’interesse di Aristotele era un interesse esclusivamente scientifico, portandolo a occuparsi di ambiti diventati le nostre attuali scienze, e interrogarsi su concetti come quello di causa, concetto molto più ampio rispetto a come lo concepiamo noi quotidianamente.
C’è anche un’altra caratteristica di Aristotele che lo rende immenso, e cioè che, se da un lato l’atteggiamento di Aristotele nei confronti della conoscenza è titanico, abbracciando ogni ambito del sapere, dalla biologia alla psicologia, dalla politica alla poetica, dalla zoologia alla botanica, dall’altro c’è anche una sorta di umiltà; è risaputo che Aristotele raccoglieva le conoscenze e le informazioni anche relazionandosi e rivolgendosi a figure professionali, come per esempio i macellai, e molti altri.
Aristotele non poteva sapere tutto. Già all’epoca alcune discipline avevano compiuto dei passi importanti, non solo le scienze della natura ma anche l’etica e la politica. Tuttavia è innegabile la sua eccezionale capacità di dominio. Se pensiamo che è morto a sessantuno anni, è lontanissimo da quello che posso fare io. Lei ha menzionato i macellai, beh lui nell’Historia animalium, descrive più 500 specie di animali di tutti i tipi, i quali non poteva conoscere personalmente. Aveva sicuramente dei collaboratori all’interno del Liceo, ma per raccogliere le informazioni sugli animali, si relazionava a figure come pescatori o allevatori, che conoscevano alcune specie di animali. È una forma di umiltà, e lo si vede anche da molti dei suoi trattati, i quali iniziano con una rassegna degli interlocutori che lo avevano preceduto.
Tra gli ambiti menzionati poco fa, c’è l’ambito della psicologia e il concetto principale di quest’ambito è sicuramente il concetto di Anima.
La famosa distinzione dell’anima in anima vegetativa, sensitiva e razionale, non risolve il problema del suo statuto, la domanda che sorge spontanea a una persona che si approccia ad Aristotele la prima volta è: che cos’è l’anima?
Intanto bisogna dire che il concetto di Anima di Aristotele era nuovo rispetto a tutti quelli che lo hanno preceduto. Per Platone l’anima era qualcosa che penetrava nel corpo e che usciva al momento della morte. Per i presocratici era una specie di spettro. Aristotele, come molti sanno, definisce l’anima come la forma, o l’atto primo del corpo. Bisogna riflettere sul concetto di forma; la forma non è una parte dell’organismo, il quale ha una sua unità. Gli organismi sono dei corpi capaci di svolgere determinate funzioni; queste capacità nelle piante sono evidentemente ridotte, negli animali queste facoltà sono già più complesse. Negli esseri umani troviamo attività che noi chiamiamo superiori, come il pensare e il volere. L’anima è il possesso di queste capacità.
Un aiuto utile a capire cosa sia la forma, proviene dalle scienze; per esempio in chimica la formula non rappresenta i componenti, ma il modo in cui componenti stessi si rapportano. Molti hanno paragonato il concetto di forma al concetto di DNA, l’acido desossiribonucleico, presente in tutti gli organismi viventi, il quale distingue un uomo da un cavallo o da un cane, ma anche un singolo uomo da un altro. La sua sequenza è una vera e propria formula. Che statuto ha? Non è materia, ma neppure uno spirito vagante che esista per conto proprio; è il modo in cui è costituita la materia per poter esercitare le sua attività, la sua capacità di funzionamento. Quando diciamo che una cosa funziona significa che è costituita in maniera tale che è capace di svolgere le funzioni per cui è stata costruita.
Questa è in un certo senso la vera smentita del materialismo, il quale vede che tutto è materia, ma la materia è a sua volta ordinata in qualche maniera, la sua forma, la quale non è materia.
Non poteva essere più chiaro. Un altro aspetto sul quale pone molto l’accento nei suoi scritti, è l’importanza che assume la biografia di un autore per la produzione del suo pensiero, un elemento al quale molti studiosi non danno l’adeguata valenza.
Questo è esattamente il contrario di quanto disse Heidegger in merito alla biografia di Aristotele, che, in modo sbrigativo disse: «Visse, lavorò e morì». Non si può capire Aristotele senza tenere conto dei vent’anni trascorsi nell’accademia di Platone, e con gli altri filosofi scienziati, come Eudosso di Cnido. Fondamentali sono stati anche i rapporti con la corte di Macedonia, e quindi tutti i problemi che riguardavano la politica. Anche vivere nella città di Atene, nella quale è sempre stato osservatore attivo. Ma anche gli stessi viaggi, come nell’isola di Lesbo. La stessa fondazione di una scuola, che implicava avere dei collaboratori; inoltre teneva dei corsi, organizzava il sapere in modo da trasmetterlo. Tutto questo è fondamentale nella produzione del pensiero di un Filosofo.
Lo stesso dicasi anche per altre filosofi come Tommaso D’Aquino, Descartes o Nietzsche.
Professore, cos’ha ancora da insegnarci Aristotele oggi?
Questa domanda richiederebbe ore di risposta; ci sono tante concetti, distinzioni e teorie che sono diventate di uso comune, le quali sono state introdotte da Aristotele. Le categorie teorizzate da Aristotele vengono usate ancora oggi; per esempio la distinzione tra sostanza e proprietà, la differenza tra contrario e contraddittorio, il principio di non contraddizione, il principio del terzo escluso usati quotidianamente dalle scienze, il concetto di forma nominato prima. Qui a Padova c’è un grande biologo, Stefano Piccolo che studia la reazione delle cellule all’ambiente, soprattutto le cellule tumorali, sostenendo che questo dipende dalla “forma” delle cellule, concepito nel modo in cui era concepito da Aristotele.
Ma anche nell’ambito delle scienze pratiche, l’etica delle virtù ha soppiantato l’etica kantiana; il concetto di felicità, la fioritura intesa come la piena realizzazione delle capacità umane è una realtà oggettiva. La stessa politica, la crisi dello stato moderno rivela che lo stato è una formazione storica e quindi forse destinata a scomparire, mentre il concetto di polis, rimane un concetto attualissimo. Come le dicevo all’inizio, nel dibattito contemporaneo, Aristotele figura come uno degli interlocutori più importanti, non solo nel panorama occidentale, in quanto anche nel mondo arabo è stato un punto di riferimento. Questo non significa che bisogna essere tutti Aristotelici, ma il confronto con Aristotele consente quella formazione che poi apre orizzonti nuovi nello studio della Filosofia e non solo.
Anche se vorrei restare altre ore a discutere con lei di Aristotele, lei deve scappare e desidero chiudere con una domanda: in virtù della sua esperienza e dei suoi anni che la dividono dai giovani studenti che si accingono a studiare filosofia all’Università, vale la pena intraprendere questo percorso?
Io ho scritto un libro, Invito alla filosofia, nel quale nelle prime righe non esorto nessuno allo studio della filosofia, a meno che non si abbiano delle motivazioni forti. È evidente che oggi la filosofia non offre molte prospettive di carriera e successo. Tuttavia sarebbe utile che un po’ di filosofia sia studiata in tutte le facoltà, come momento di riflessione critica sulla disciplina che stanno coltivando.
La filosofia è ancora presente nella forma di metalinguaggio in rapporto alle scienze, e come sapere pratico. Si credeva che le scienze risolvessero tutti i problemi pratici, poi ci si è accorti che le scienze spesso non sono in grado di dire cosa è bene e cosa è male, cosa è lecito e cosa non lo è, cosa è giusto e cosa è ingiusto. Weber, uno dei fondatori della sociologia, disse che le scienze sono avalutative, e cioè che non forniscono giudizi di valore, ma di fatto, mentre il giudizio di valore lo possono dare solo la Filosofia e la Religione, anche se quest’ultima non è seguita da tutti. Molti dei problemi attuali sono argomento di dibattito filosofico; il problema è che, se se ne occupano solo i filosofi, non vengono ascoltati; quindi bisogna fare in modo che se ne occupino anche gli altri. Spesso succede, e questo fa sorridere, che quando alcuni scienziati vanno in pensione, non avendo più un laboratorio a loro disposizione, si improvvisano filosofi, rivalutando il ruolo della filosofia, constatando che c’è qualcosa per cui ancora vale la pena pensare.
Matteo Lamparelli