Il ruolo dei luoghi ne “La misura del mondo” di Daniel Kehlmann
Il viaggio dell’esploratore e quello dell’uomo chiuso in una stanza
Può un uomo, per una vita intera, stare chiuso in una stanza a portare avanti esperimenti, calcoli, e viaggiare quanto un altro che per tutta la sua esistenza ha attraversato oceani, scoperto canali leggendari, scavato fin quasi ad arrivare al centro della Terra?
Sì può farlo, almeno questa è la risposta che ci dà Daniel Kehlmann nel suo romanzo La misura del mondo:
“Ma mentre Humboldt superava la periferia di Berlino e si immaginava Gauss seduto al suo telescopio a osservare i corpi celesti, le cui orbite sapeva riassumere in formule semplici, per la prima volta non avrebbe più saputo dire chi dei due aveva girato mezzo mondo e chi era sempre rimasto a casa”.
L’Humboldt di cui si parla è Alexander von Humboldt, grande esploratore, geografo nonché naturalista dell’Ottocento, protagonista del romanzo di Kehlmann assieme a Carl Friedrich Gauss, famoso matematico e astronomo.
All’interno dell’opera i due personaggi rappresentano bene le due possibilità opposte che possono trovarsi all’interno di un’opera di narrativa: da un lato una narrazione che spazia per chilometri e chilometri, accompagnando i personaggi in numerosi spostamenti, finendo a volte per fare il giro del modo conosciuto, come nei romanzi di avventura; dall’altro invece ci sono storie che pur svolgendosi in un singolo luogo, chiuso, ristretto, di pochi metri quadrati, danno la sensazione di spaziare tra luoghi, realtà e dimensioni quasi infinite (un esempio perfetto può essere Il vagabondo delle stelle di Jack London).
Il viaggiatore in questo caso è Humboldt, costretto in età infantile tra le mura del castello di famiglia, che quasi sembrano tenere a freno la sua voglia di scoperta. Condivide la sua educazione con il fratello gemello Wilhelm, dal quale si separa soltanto durante gli studi universitari. Ed è proprio per la ricerca di scoprire e catalogare sempre nuovi aspetti del reale, nuove piante e nuove specie, ma anche nuovi luoghi, che si imbarcherà per raggiungere zone impervie e pericolose, a volte mai calpestate da piedi umani.
Gauss invece, dopo l’infanzia e i primi studi a Brunswick, decide di restare all’università di Gottinga e trova noioso e frustrante qualsiasi lavoro che implichi l’allontanarsi dalla sua casa o dal suo studio. Gauss a differenza di Darrell Standing, protagonista de Il vagabondo delle stelle, non è confinato nella cella di una prigione ed è una scelta volontaria quella di restare a casa nella sua Gottinga per proseguire i suoi studi. Da questo punto di vista si avvicina di più a un altro personaggio di London, quel Martin Eden protagonista del romanzo omonimo che decide di vivere in una piccola stanza a studiare e scrivere. Certo Gauss non sogna e non ha visioni di luoghi lontani in cui è stato in passato come Martin Eden, né viaggia nel tempo e nello spazio pur restando nella sua cella come Darrel Standing. Eppure dal suo laboratorio riesce ad avere chiara quella che è la misura non solo del mondo intero, ma anche dell’universo che si dipana al di là di questo. Gli basta avere un punto di osservazione fisso per avere la visione d’insieme del cosmo e per tradurla in formule matematiche. Soltanto una volta Gauss avrà una vera e propria visione, quando appisolandosi in una delle pause dal lavoro, gli apparirà una trafficata e caotica metropoli moderna.
Il ruolo dei luoghi nel romanzo di Kehlmann
Ma che significato hanno quindi i luoghi nel libro di Kehlmann, qual è e come cambia il loro ruolo all’interno del romanzo? Humboldt si muove in innumerevoli luoghi anche molto lontani fra loro, il personaggio stesso mal sopporta di rimanere fermo, confinato tra le mura del castello della sua infanzia o nei confini seppur più ampi di Berlino. Humboldt ha bisogno di trovare nuove specie animali o di scoprire piante mai viste prima per potersi sentire vivo.
I luoghi che Humboldt attraversa, dalle Canarie alle foreste del Sud America, dal leggendario canale tra l’Orinoco e il Rio delle Amazzoni infestato dalle zanzare, alle colonie disperse della nuova Andalusia; che sia una grotta sede di siti funerari mai visti o studiati o la cima del monte Chimborazo, tutti questi luoghi e l’America in generale, rappresentano per Humboldt le possibilità ancora non esplorate dall’uomo. Esse sono il simbolo di quella sete di conoscenza e dell’insaziabilità della ricerca ben incarnate dall’Ulisse di Dante. Humboldt attraversa le colonne d’Ercole e non ha paura di superare continuamente i muri, le barriere che gli altri uomini si sono imposti. Sa che quella è la sua vita, il suo destino e anche quello dell’uomo stesso.
Per Gauss invece i luoghi sono semplicemente quelli della sua casa di infanzia e della sua casa da sposato, quelli dove compie i suoi studi e i suoi esperimenti, la città natale Brunswick e la città della sua università, Gottinga. È a Brunswick che per la prima volta riesce a intuire la curvatura dello spazio salendo a bordo di una mongolfiera. Queste due città e le cittadine limitrofe sono tutto ciò di cui ha bisogno per poter esplorare i segreti del cosmo. È da Gottinga che riesce a tradurre in termini matematici le leggi del mondo e non ha bisogno di null’altro che della tranquillità di questo piccolo centro per viaggiare nel tempo e nello spazio. Quindi Gottinga per Gauss non è molto differente di quello che l’America, le profondità della Terra e la cima del monte più alto del globo sono per Humboldt. Entrambi si muovono verso l’espansione della conoscenza dell’universo, verso la misura del mondo stesso.
Berlino
Il punto di incontro dei due protagonisti è un luogo ben preciso, una città ben precisa, Berlino. I due sembrerebbero camminare su due linee parallele difficilmente avvicinabili. Eppure entrambi hanno sentito parlare l’uno dell’altro. Ed è quasi un rovesciamento dei ruoli che li fa incontrare. Dei due chi si muove per raggiungere l’altro è Gauss, che dalla sua Gottinga viaggia verso Berlino con suo figlio Eugen per partecipare al Congresso degli scienziati tedeschi su invito proprio di Humboldt.
Humboldt si ritrova in città come ciambellano del re, un ruolo che è stato costretto ad accettare a causa delle ristrettezze economiche in cui si trova dopo i suoi dispendiosi viaggi. Il suo atteggiamento verso la città non è molto diverso da quello di Gauss. A Washington, poco prima di tornare dal suo viaggio in America, in un colloquio avuto con Thomas Jefferson, il presidente americano gli aveva chiesto se aveva voglia di tornare a Berlino:
“A Berlino?
Humboldt rise. Nessuno, dotato di buonsenso, potrebbe sentirsi a casa in quella orrenda città. […] A Berlino, di questo sono certo, non vivrò mai più”.
Nel primo capitolo, invece, quando Gauss arriva in carrozza a Berlino accompagnato dal figlio Eugene, il narratore presenta una città in rapida espansione e il commento secco di Gauss non si fa attendere:
“In un paio d’anni, disse Eugene, sarebbe diventata una metropoli come Roma, Parigi o San Pietroburgo.
Non lo sarà mai, disse Gauss. Che città ripugnante!”.
Per entrambi Berlino rappresenta l’opposto di quello che è invece il loro habitat ideale. Humboldt si ritrova ingabbiato nelle mansioni di corte, chiuso nei confini cittadini senza l’ampio respiro del mondo ancora da scoprire, di quegli spazi ancora oscuri sulle mappe geografiche, un mondo che per lui non ha mai avuto limite se non quello che gli uomini si impongono.
Gauss si ritrova quasi smarrito in città, catapultato fuori dalla sua realtà di provincia che per tutta la vita ha rappresentato la finestra quotidiana da cui osservare il mondo e le leggi che governano l’intero Universo.
La Berlino in cui i due e Eugene si muovono è una città in crescita in cui le nuove idee cominciano a farsi strada, e dove tutti gli oppositori vengono arrestati allo stesso ritmo in cui vengono innalzati i nuovi edifici. In città le idee liberali e nazionaliste del movimento ginnico tedesco fondato da padre Jahn vengono strenuamente osteggiate nel clima repressivo del post Congresso di Vienna, dove però cominciano a conquistarsi sempre più spazio l’ideale borghese e del guadagno, l’ottica dell’utile e del danaro che diventano sempre più centrali nell’Ottocento e sembrano fare irruzione anche nel romanzo stesso.
L’evoluzione dei ruoli dei luoghi
Dopo il periodo a Berlino qualcosa cambia per i due protagonisti, per entrambi i luoghi non saranno più gli stessi, questo perché è il mondo stesso a essere cambiato. Humboldt parte con lo stesso entusiasmo giovanile per una nuova spedizione, stavolta non verso l’America ma verso Est, attraverso le infinite steppe della Russia.
Ben presto però si accorge della differenza con i suoi viaggi giovanili. Non è più da solo con il suo assistente Bonpland a esplorare e immergersi nella natura selvaggia e a ridisegnare i confini del mondo. Si ritrova invece in una carovana composta da decine di persone e centinaia di soldati di scorta. Più che un’esplorazione sembra quasi una faccenda propagandistica e pubblicitaria, dove il compito di Humboldt è soltanto quello di incontri di rito con personalità locali e tutto il lavoro di misurazione delle distanze, di catalogazione e di esplorazione è affidato agli altri. Il suo viaggio non è più l’avventurarsi in grotte sconosciute e buie alla ricerca di piante e animali mai visti, lo scalare cime e navigare fiumi mai sfiorati prima.
E poi si viaggia veloci, troppo, su un percorso già prestabilito, indicato da altri. La velocità con cui si percorre questo itinerario, dice Humboldt, rende difficile distinguere un luogo da un altro:
“Humboldt aveva sonnecchiato in così tante carrozze, era stato trasportato da così tanti cavalli e aveva visto così tante pianure erbose che erano sempre le stesse pianure, così tanti orizzonti che erano sempre gli stessi orizzonti, da avere l’impressione di non essere più una persona vera”.
Dal punto di vista di un mondo che è diventato più veloce e standardizzato e dove i viaggi seguono percorsi prestabiliti, i luoghi sono diventati dei non luoghi o, come lo stesso Humboldt sembra suggerire, non sono più veri.
Va un po’ meglio forse a Gauss, che dalla sua Gottinga vive in un mondo ancora chiuso verso le novità e la nuova visione del mondo. La quale però emerge dalla prospettiva del più giovane assistente Weber, che a volte non può non notare che alcune delle invenzioni di Gauss, elaborate già in gioventù e che lui stesso definisce delle inezie, piccole idee di non molta importanza, possano essere in realtà utilizzate per renderlo ricco e famoso.
È però da questo mondo chiuso che Gauss ha una vera e propria visione della frenesia della nostra contemporaneità. Durante una delle sue pause dal lavoro in laboratorio, appollaiandosi su una roccia, il luogo tranquillo in cui il matematico ha vissuto tutta la vita si trasforma a un tratto in una trafficata metropoli del ventesimo secolo:
“La strada davanti a lui gli sembrava molto più ampia del solito, non vedeva le mura della città, e tra i palazzi si ergevano torri di vetro splendenti. Capsule di metallo si accalcavano lungo le strade come colonne di formiche, un ronzio profondo riempiva l’aria, era sospeso sotto il cielo, sembrava addirittura alzarsi dalla terra che vibrava leggermente. Il vento aveva un sapore acidulo. C’era puzza di bruciato. Avvertiva qualcosa di invisibile, di cui non riusciva a rendersi conto: una vibrazione elettrica, riconoscibile solo da un lieve malessere, un’oscillazione all’interno della realtà stessa. Gauss si sporse in avanti e quel movimento cancellò tutto; si risvegliò con un urlo di terrore”.
Il cambiamento delle prospettive e dei luoghi stessi va a personificarsi nel personaggio di Eugene. Alla fine del libro il giovane parte per l’America e durante il viaggio, quasi naturalmente, comincia a utilizzare alcuni trucchi matematici insegnatigli dal padre, che non hanno però lo scopo di conoscere o misurare il mondo e la realtà, ma danno come risultato soltanto il guadagno. Eugene userà il metodo di Giordano Bruno per contare le carte e vincere la sua partita a danno dei suoi compagno di viaggio, ma non sarà in grado di utilizzare le sue conoscenze per aiutare il capitano nella navigazione come invece aveva fatto Humboldt anni prima.
Ciò che accomuna i viaggi di Humboldt e Eugene è di sicuro la meta, il luogo d’arrivo, ma a cambiare è tutto il resto, anche l’idea stessa che del luogo hanno i due. Anche per Eugene l’America rappresenta una terra da esplorare e ricca di opportunità. Eppure queste ultime non sono più il vivere tra i “selvaggi”, le scoperte, la conoscenza e a nulla servono quindi i consigli del vecchio esploratore. Per il giovane il nuovo continente è invece la terra delle opportunità economiche, dove le conoscenze matematiche e scientifiche, devono essere usate non per la misurazione e la scoperta, ma per l’utile e il guadagno.
Pierluigi Faiella