I film da riscoprire: Vogliamo anche le rose
«Vogliamo il pane, ma anche le rose» dicevano le lavoratrici tessili nello sciopero del 1912, rivendicando il diritto a un salario migliore e insieme quello di poter godere la vita. Tra i cineasti della generazione nata negli anni Sessanta, Alina Marazzi è sicuramente una di quelli con un punto di vista inconsueto. In quanto regista, in quanto accademica, in quanto donna, figlia del suo tempo e di una famiglia con un passato alle spalle, Marazzi ha qualcosa da dire per ognuno di questi ruoli. Cinque anni dopo il premiato Un’ora sola ti vorrei, arriva Vogliamo anche le rose: documentario storico e ribelle, sulla condizione delle donne nei due decenni più rivoluzionari della storia italiana.
Dal privato al collettivo: la ricostruzione storica
Siamo nell’Italia del boom economico, quella delle automobili, dei moti giovanili universali e dei rinnovamenti locali. Alina Marazzi, che in quegli anni ci è nata (era il 1964), raccoglie materiale d’archivio dalle cineteche italiane e lo dispone in un flusso narrativo cosciente e rinnovato: i filmati di repertorio trovano nuovo senso in questo racconto omogeneo e coerente, come se non fossero stati prelevati da media di destinazione diversa. Ancora una volta Marazzi sceglie di raccontare la storia unendo il privato al collettivo, dove il primo è rappresentato dalle memorie di tre donne qualunque, Anita, Teresa e Valentina. Tre donne che sono anche state ragazze a cavallo tra gli anni Sessanta e i Settanta, nel pieno del dibattito sulla condizione femminile, sull’aborto, sul divorzio, sulla figura di moglie, madre e lavoratrice.
I diari e le memorie
I loro diari, reperiti alla Fondazione Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano, diventano la chiave per leggere il fermento sociale e culturale dell’epoca. Le loro parole – lette dalle attrici Anita Caprioli, Teresa Saponangelo e Valentina Carnelutti – assurgono a campione del contesto italiano, sullo sfondo di filmati privati e amatoriali, dibattiti televisivi, animazioni e foto rimesse in movimento secondo lo stile della regista. Un complesso di materiali che di quel periodo si fa specimen eloquente, dialogando con Anna di Alberto Grifi e L’amore in Italia di Luigi Comencini.
Anita e la scoperta del sesso
Anita è appena maggiorenne, quando a metà degli anni Sessanta comincia a fare i conti col proprio corpo, con l’amore e col mondo fuori che la aspetta. Quei conti però non tornano, e Anita la sua sessualità non sa come esprimerla. I medici parlano di un forte desiderio sessuale che tuttavia rimane represso, mentre si affrettano a bollarla troppo sbrigativamente come frigida. La sua educazione borghese e quel contesto di liberazione e giovinezza che l’avvolge la tengono ancorata dentro a un limbo da cui però non sanno farla uscire.
Teresa e il divieto d’aborto
Teresa, ragazza del sud, è invece alle prese con le conseguenze del sesso e con una gravidanza indesiderata. Lo scenario di una cultura retrograda, patriarcale e proibizionista le appare in tutta la sua nitidezza: da una parte, per lei, l’impossibile dialogo con la famiglia e dall’altra una legislazione antibortista che non le lascia altra scelta. Teresa va a Roma, a praticare un aborto clandestino, in una stanza che le fa paura, in una città che la intimidisce, in un giorno che evidentemente non avrebbe dovuto vivere così.
Cosa significa essere donna
Teresa e Anita sono incarnazione di un’idea di femminilità sghemba e distorta, costruita dagli uomini per l’altro sesso e avallata da donne che non sanno esprimerla né contrastarla. Sostenuta da un sistema culturale e istituzionale che ne fa eco in ogni dove. Nel microcosmo familiare. Nell’editoria. Nella pubblicità. Già, la pubblicità. Con quelle immagini che ci paiono risibili a guardarle oggi, fatte di effigi femminili impeccabili nelle loro collane di perle mentre sfoderano un bucato bianco che più bianco non si può. Era la fine degli anni Ottanta quando La TV delle ragazze prendeva in giro certi spot che volevano le donne lanciarsi col paracadute nei giorni del ciclo mestruale. E di immagini simili la memoria delle generazioni non troppo giovani conserva il sapore di familiare. Così quelle immagini, con uno sguardo critico al presente, risultano una faccenda più seria di quanto sembri.
Il ruolo della donna
La verità è che il problema non è soltanto la mancanza di riferimenti credibili e rassicuranti. La lotta contro il maschilismo, il patriarcato, per l’introduzione del divorzio, dell’aborto, per i pari diritti sul lavoro è una lotta tout court, contro un sistema che non lascia scampo. La questione sociale e la liberazione sessuale non riguardano solo la facoltà di scegliere cosa fare col proprio corpo – “Io Sono Mia” gridava un noto slogan femminista – all’interno di schemi istituzionali. Al di fuori della famiglia e del matrimonio, dall’altro lato della barricata, gli ambienti delle sommosse giovanili, studentesche e sessantottine esigono dalla donna una sessualità disinibita e incondizionata.
Se rifuggi dall’etica borghese, se vuoi entrare nella modernità devi offrire tutta te stessa. In un modo o nell’altro, ad Anita, Teresa e le altre donne si impone di aderire a uno o all’altro modello, senza che gli si chieda un’opinione al riguardo, e di cui comunque sanno poco e niente. Ciò che riguarda il matrimonio, dice una casalinga in un’intervista d’archivio, si sa sempre dopo e non prima. E cioè quando è ormai troppo tardi per uscirne.
Vogliamo anche le rose: una storia vecchia o una vecchia storia?
Molti anni sono passati da quelli in cui Anita e Teresa esperivano la propria adolescenza. Molti ne sono trascorsi anche da quel 2007 in cui Vogliamo anche le rose vide la luce. Di lì a poco, sarebbe arrivato il movimento delle FEMEN, e poi ancora il #MeToo a segnare un’epoca. In mezzo c’è stato un ventennio di riforme necessarie, seguito dall’ondata punk rock femminista e dalla carica del girl power. Ma davvero questi temi, queste lotte, riguardano il passato e nient’altro? Certo, è stato abrogato il reato d’adulterio. D’accordo, abbiamo avuto il divorzio. E sì, il delitto d’onore è soltanto un ricordo. Siamo proprio sicuri, però, che il cambiamento che meritavamo fosse tutto qui?
Valentina, e lo sguardo al futuro
Forse non è un caso, allora, che l’ultima testimonianza sia quella di Valentina. Trent’anni, politicamente impegnata, Valentina tenta di coniugare la sua relazione sentimentale col richiamo di una convinta militanza femminista. Salvo poi constatare che «siamo sconfitti, uomini e donne» e che «i veri effetti saranno lenti a insediarsi nelle nostre coscienze». Sembra una profezia, quella di Valentina. Un monito rivolto al futuro, un interrogativo per il nostro presente. Ecco che il discorso di Alina Marazzi non finisce allora coi titoli di coda. Vogliamo anche le rose è un documentario che le ragazze di oggi non dovrebbero lasciarsi sfuggire. Neanche gli uomini, in fondo. Potrebbe essere un’occasione per non interrompere quel dialogo, e far sì che l’esperienza di Valentina, di Anita e di Teresa sia una promessa, e non una possibilità.
Andrea Vitale