Blu e il mondo-ossessione
Che cos’è un’ossessione?
Per tanti motivi, ci ragiono su da qualche anno. Sono arrivato alla parziale conclusione che un’ossessione è una forza di attrazione innaturale e irresistibile. Ma non è ancora qui il problema. Il vero problema nasce da ciò che ne consegue. Una serie di azioni modellate dall’ossessione, sia in avvicinamento che sottoforma di comportamenti evitanti.
E questa serie di comportamenti diventano una nuova e tutto sommato accettata normalità. Eccolo, il problema. La vita dell’ossessione diventa l’unica vita. Anche se si prova a uscirne, ci siamo immersi. Guardandoci attorno c’è solo quella vita lì, con quei rituali, quelle cose da evitare, quei pensieri che ritornano.
I pensieri e quella voce che ci parla
Immerso come sono in questa mia ricerca, era difficile che un libro come Blu (Giorgia Tribuiani, Fazi) passasse inosservato. La conoscevo già per Guasti (Voland) e sapevo di trovarmi davanti a un’autrice capace di una scrittura consapevole.
Blu è certamente una storia di ossessioni e rituali, una storia di formazione (o meglio, di decostruzione di una parte malata che si è formata da sé). Ma è prima di tutto un libro capace di parlare al lettore anche grazie alla sue scelte stilistiche.
Il romanzo è interamente scritto in seconda persona – e chi si cimenta in racconti e romanzi sa bene quant’è difficile gestirla – e questo, oltre a dare prova della capacità autoriale, fornisce un elemento di forza sulla tenuta della narrazione. Perché la voce che parla, parla a Blu, alla nostra protagonista. E le dice, fra le altre cose: non vorrai che succeda qualcosa di male a questa o quella persona? La voce narrante è insieme descrittrice del mondo e degli eventi e voce dell’ossessione. Ed è questa scelta così particolare a fornire forza a un libro già di per sé potente.
Perché i pensieri sono alla base dell’ossessione. Il DOC – Disturbo Ossessivo Compulsivo – è ben più di una serie di ridicoli rituali ripetuti un numero preciso di volte. È ben più del fastidio di non poter vedere quadri e posate non allineati, o della necessità di lavarsi le mani qualche volta in più. Il DOC è prima di tutto un’ossessione, e l’ossessione porta con sé dei pensieri che ci dicono: fai il nostro piccolo rituale, o qualcosa di brutto accadrà. E non importa se non ci crediamo, se razionalmente sappiamo benissimo di non avere il potere di far accadere cose brutte, i pensieri, l’ossessione, vengono da quella parte nascosta della nostra mente, sotto la censura, quella stessa materia dei sogni e degli incubi che non possiamo in alcun modo controllare. E solo allora c’è il gesto. Solo allora dall’esterno si vede la punta dell’iceberg di ciò che si agita dentro.
Il mondo-ossessione e la negazione di sé
Blu non è il vero nome della protagonista. Si chiama Ginevra, ma è un nome ormai poco utilizzato. Perché è la stessa Blu a scindersi, a rifiutare Ginevra – a rifiutare una parte di sé, con ciò che si porta dietro, il suo bagaglio esperienziale, il suo ontologico diritto all’autodeterminazione – per essere solo Blu. La bambina buona, quella che ride. Non Ginevra, il nome chiamato durante i rimproveri.
Questa dissociazione da sé è alla base del percorso di Blu. Una frattura che incancrenisce, che si allarga come una faglia malata. E c’è solo una salvezza, nel suo mondo: l’arte. Blu è un’artista provetta. Disegna benissimo, ritratti di se stessa, soprattutto. E l’arte rappresenterà la possibilità di svincolarsi da una vita-ossessione statica per provare una vita-ossessione di movimento. La performing art, una donna in una vasca, la possibilità di essere parte di qualcosa, di essere qualcos’altro.
Il romanzo di Tribuiani parla proprio di questo. Dell’appiglio di una ragazza sola fra i turbinanti pensieri ossessivi e della sua lenta scalata verso qualcosa di diverso, di ignoto.
Perché la forza necessaria, in questi casi, è enorme anche solo per muovere un passo. Impossibile vederla, da fuori. Ma c’è. È tutta nell’impulso a non lasciarsi andare, sotto il peso di un macigno che risiede in quello spazio interstiziale fra l’encefalo e ciò che davvero siamo.
Maurizio Vicedomini