L’infanzia e la narrazione
In questo periodo sto scrivendo di Seconda Guerra Mondiale e di Fascismo. Siccome mi piace immergermi nelle narrazioni coeve all’argomento che vado trattando, l’altro giorno ho finito di leggere Una notte del ‘43 di Giorgio Bassani. A parte la storia e i meccanismi testuali, lo stile e la trama, ho apprezzato molto lo sguardo che lo scrittore riserva a Ferrara, uno sguardo di profondo rispetto con alcune note di nostalgica malinconia.
Ammetto che ero a conoscenza di poche nozioni sulla biografia di Bassani e così sono andato a dare un’occhiata nell’enciclopedia. Ho scoperto che lo scrittore ha trascorso l’adolescenza a Ferrara, ma la maggior parte della sua esistenza l’ha vissuta a Roma, città dove ha anche concepito e prodotto quasi tutte le sue opere. La cosa curiosa è che tutte le opere di Bassani parlano di Ferrara, oppure raccontano qualche aspetto fondamentale di quella città.
Riflettevo allora sulla relazione tra i luoghi della giovinezza e la vita di uno scrittore. A Bassani è bastato abitare in una città fino al completamento degli studi liceali perché lui ne restasse segnato per tutta la vita e fosse influenzata interamente la sua produzione artistica. Quale potenza hanno le immagini, i profumi, le storie che entrano attraverso i sensi tesi e famelici nella mente giovane di un ragazzo che corre verso la maturità?
Yourcenar: a vent’anni uno scrittore ha già concepito tutti i libri
Mi viene in mente, a questo proposito, una frase molto significativa che Marguerite Yourcenar pronunciò durante un’intervista: “Potrei dire che tutti i miei libri furono concepiti prima che compissi vent’anni, sebbene non sarebbero stati scritti per altri trenta o quarant’anni. Ma forse questo vale per molti scrittori: la riserva di emozioni è già completa in una fase molto iniziale” della sua carriera.
Sia ben chiaro, non mi sto riferendo (solamente) alla cosiddetta autofiction, per cui l’autore racconta la propria adolescenza in maniera romanzata. Mi riferisco, piuttosto, alla peculiare forza con cui le immagini e le situazioni della gioventù andranno a influenzare la produzione letteraria di uno scrittore perfino nella fase della maturità e nonostante l’eventuale lontananza fisica.
D’Annunzio e il mare di Pescara
Sempre riguardo ai libri che sto rispolverando con lo scopo di mettermi nell’orecchio il ritmo delle scritture risalenti al
periodo fascista, decido di prendere in mano qualche scritto di D’Annunzio. Ho letto tutta la sua opera da ragazzo e ho ancora tutti i suoi libri. Data la sconfinata produzione dannunziana, mi sento sfiorato dalla vertigine che precede la scelta. Siccome, però, mi interessa la scrittura concepita durante il Ventennio, la mia vertigine si placa, perché posso scartare molta roba. Prendo dunque in mano Il libro segreto, l’ultima opera del Vate (scritto 1935), e nella prima pagina vi trovo riferimenti alla natìa Pescara e all’infanzia. Quel libro fu scritto durante il soggiorno al Vittoriale, sulle rive del Garda, dopo che D’Annunzio ebbe viaggiato in lungo e in largo per tutta la sua vita, da Roma a Firenze, da Parigi a Fiume. Mi chiedo se le acque cerulee del lago, che lui poteva facilmente scorgere dalla sua ultima residenza, non gli abbiano fatto venire in mente le acque dell’Adriatico che toccano il porto della sua Pescara o le spiagge dell’abruzzese Francavilla al Mare, dove il suo amico Francesco Paolo Michetti lo ritrasse con la macchina fotografica una cinquantina d’anni prima.
Eco e il Monferranto
L’infanzia irrompe prepotente anche in altri giganti della narrativa. Tra i contemporanei non posso non pensare a Umberto Eco, che ne Il Pendolo di Foucault inserisce ampie descrizioni del Monferrato (ricordiamo che era nato ad Alessandria) malgrado avesse speso quasi tutta la sua vita tra la sua casa a Milano, le lezioni all’università a Bologna e la residenza di villeggiatura nelle Marche. A parte i luoghi, nel Pendolo Eco descriverà un’esperienza personale, quando da bambino venne incoraggiato a suonare il flicorno contralto. La descrizione, nel romanzo, riguarda qualcuno che suona la tromba, strumento a fiato non molto dissimile dal flicorno, e in un’altra occasione Umberto Eco dichiarerà che per il libro si era ispirato a un ricordo personale della sua infanzia.
Per trovare una massiccia presenza dei ricordi risalenti all’infanzia, però, bisogna aspettare il romanzo La misteriosa fiamma della regina Loana, concepito da Eco in età ancora più matura (era settantaduenne al momento della pubblicazione), quasi a conferma del fatto che i narratori davvero fanno dei primi anni della loro vita un prezioso repertorio da cui attingere anche a distanza di decenni.
Appassionante come una ricerca archeologica
Un tempo pensavo che scrivere di cose vissute nell’infanzia fosse un segno di immaturità dovuta al fatto che si conoscesse ancora poco della vita adulta e non si sapesse proprio che cosa scrivere. Forse poteva andare bene per gli scrittori di genere, quelli che prediligono le storie per ragazzi. Addirittura pensavo che in certi casi fosse una nostalgia inutile per scrittori prossimi alla demenza senile. La verità, invece, è che l’infanzia e l’adolescenza ci riempiono di stimoli, che sono tanto numerosi e tanto intensi che non basta una sola vita a processarli e a digerirli. Se un artista va in cerca di stimoli, perché dovrebbe fabbricarli artificialmente o coglierli nell’effimero e cangiante presente, quando ha a disposizione un tesoro che si è stratificato negli anni e i cui sedimenti, tra l’altro, possono essere rinvenuti con un’avvincente esplorazione che dà i brividi come un appassionante scavo d’archeologia?
Giuseppe Raudino