Licorice Pizza: un antidoto al male del mondo
Il giorno della foto annuale è un momento che tutti gli studenti del liceo aspettano con ansia, e il giovane attore Gary Valentine non fa eccezione. Quel giorno però, quando si ritrova davanti Alana Kane, più grande di lui, il suo cuore scatta proprio come la macchina fotografica che lo immortala. Gary avverte qualcosa che non ha mai provato, così le chiede di uscire, e dopo quella sera la sua vita cambierà.
Nella soleggiata California del 1973 Gary e Alana si inseguono all’interno di una società in trasformazione, conoscono personaggi eccentrici e intraprendono avventure folli, spinti dalla forza della giovinezza e dell’amore.
Anderson e il ritorno alla Valley
Il nuovo film del maestro Paul Thomas Anderson si presenta come una storia semplice e lineare: un adolescente si innamora di una giovane donna. Quello che però può sembrare un plot vecchio come il mondo, nelle mani del cineasta americano diventa un vero e proprio gioiello di originalità. Dopo Il filo nascosto, girato completamente in Inghilterra, Anderson torna a casa, nella sua California, il bacino della sua ispirazione poetica. Torna nella San Fernando Valley di Boogie Nights – L’altra Hollywood, quel luogo di lacrime, disperazione e redenzione che abbiamo amato in Magnolia e il medesimo microcosmo di gioia e bellezza di Ubriaco d’amore.
L’esperienza europea del Filo nascosto ha sicuramente rappresentato uno dei punti più alti all’interno di una carriera che praticamente conta solo prove magistrali. Un film tanto bello e perfetto da risultare per certi versi criptico, facendo pensare che nelle sue ultime opere Anderson abbia tenuto al guinzaglio quel pathos tipico dei suoi primi lavori, in cui il termometro delle emozioni sembrava scoppiare da un momento all’altro, per lasciare spazio a una dimensione prettamente cerebrale e filosofica.
Il sole della California sembra riportare il regista indietro nel tempo. In Licorice Pizza lo ritroviamo meno arrabbiato, più giocoso rispetto ai film precedenti ma altrettanto magistrale.
Costruzione di una nazione
Dopo avere raccontato la relazione tra petrolio e religione, l’orripilante connubio che ha nutrito le radici americane per oltre un secolo ne Il petroliere, e dopo aver descritto la creazione di un culto che stringe ancora oggi nella sua morsa gli Stati Uniti (nonché gran parte del mondo occidentale) in The Master, Anderson continua a raccontare la nascita della sua Nazione.
Licorice Pizza non è un film minore perché dotato di un soggetto meno ambizioso, tutt’altro. Questo film, oltre a essere una commedia raffinatissima e geniale, è un ritratto nostalgico, colorato, folle e divertentissimo dell’America e della sua trasformazione avvenuta negli anni Settanta: un nuovo tassello di un affresco sociale che l’autore ha raccontato in tutte le sue opere a partire da Boogie Nights.
Il regista non ha mai nascosto il suo amore per i personaggi di cui parla e anche in questo caso non fa eccezione. Tutti gli attori sono sublimi, che siano mostri sacri della cinematografia oppure volti sconosciuti.
Sono nate due star
Cooper Hoffman, figlio del compianto Philip Seymour, alla sua prima prova sul grande schermo sfodera un talento abbagliante. È impossibile non rivedere il suo papà nella corporatura, nei gesti, nelle espressioni, in quei mezzi sorrisi malinconici. Uno scoglio che però il giovane riesce a superare con assoluta disinvoltura ed estrema naturalezza, accompagnato egregiamente dalla giovane Alana Haim. I due protagonisti sfrecciano attraverso una galleria di personaggi tanto folli quanto indelebili, basti pensare a Bradley Cooper che interpreta Jon Peters: un esuberante playboy e produttore cinematografico sulla cresta dell’onda che minaccia di sterminare la famiglia del protagonista, o a Sean Penn che veste i panni di un attore consumato, vittima di un narcisismo patologico.
Ma la vera potenza del film sono questi due ragazzi: spontanei, dolci, instabili e dannatamente autentici. Due attori che insieme sono una vera e propria forza della natura.
Uno dei registi più abili della sua generazione
Anderson (anche direttore della fotografia insieme a Michael Bauman) segue i suoi protagonisti con lunghissimi movimenti di macchina e carrelli perfetti. Si direbbe che la macchina da presa danzi attorno ai loro corpi. La pellicola 35 mm conferisce all’immagine una lucentezza e un calore sublime, sembra quasi che i raggi del sole californiano buchino l’immagine, che il regista manipola come creta, a volte deformandola con grandangoli spinti, a volte riprendendola con il teleobiettivo quando decide di tenersi a distanza e mantenere delicatezza.
Paul Thomas Anderson si è distinto fin dal primo film come uno degli sceneggiatori più abili della sua generazione, primato da sempre conteso con il grande amico e collega Quentin Tarantino. Anche questa volta, la scrittura è perfetta: una sceneggiatura stratificata che, oltre alle vicissitudini dei protagonisti, racconta altre storie che si intersecano alla linea narrativa principale dando al film un respiro corale.
La poetica di Anderson riemerge prepotentemente: follia, alienazione e bisogno d’amore, sono solo alcuni degli elementi che ritroviamo in quest’ultima straordinaria prova, collegamento diretto con il primo periodo della sua filmografia. Basti pensare che il grande Philip Seymour Hoffman in Ubriaco d’amore vende materassi, e in questo film il protagonista decide di entrare nel business dei letti ad acqua – una dichiarazione d’affetto non solo a un collega, ma soprattutto a quello che è stato (e che è) un grande amico.
Gli spettatori che non conoscono Anderson, davanti a Licorice Pizza potrebbero trovarsi scombussolati, perché le sottotrame rischiano di far calare l’attenzione alla storyline primaria e creare una sorta di disorientamento. Ma se in alcuni punti la scrittura rallenta volutamente il ritmo, la tecnica e lo stile riescono a tenere gli occhi incollati allo schermo, mostrandoci la bellezza di un cinema a cui non siamo più abituati.
Anderson firma così una lettera d’amore al cinema e alla sua terra, ma soprattutto dichiara di avere fiducia in un futuro dove l’amore ha ancora significato, donandoci un capolavoro che è un vero e proprio antidoto alla sofferenza che c’è in noi e nel mondo.
E sicuramente, da qualche parte, Philip Seymour Hoffman sarà fiero e orgoglioso di suo figlio.
Jacopo Zonca