Lezioni bonnensi #2 – La lingua in cui pensiamo

Dopo esserci riscaldati con un argomento un po’ nerd come quello dei libri, il secondo saggio che ho affidato alla classe riguardava invece questioni più filosofiche: ho fatto leggere loro alcune pagine tratte da Lessico di frequenza dell’italiano parlato e Prima lezione sul linguaggio di Tullio de Mauro e anche alcune pagine dal romano Lingua Madre di Maddalena Fingerle (ossia la parte sulle “parole sporche”). Abbiamo ragionato insieme su problemi come: quant’è importante la conoscenza della lingua che parlo per organizzare il mio pensiero? Se sono madrelingua tedesca, ragiono differentemente da un madrelingua italiano? Un bambino a cui non è stata insegnata nessuna lingua, sarebbe in grado di pensare ugualmente?

Tullio De Mauro

Il secondo tema: Lingua e linguaggio

Ho assegnato loro la seguente traccia. Il tema che leggerete è di Izel Günselbak:

In base alle letture che abbiamo fatto a lezione, elaborare un saggio breve rispondendo alle seguenti domande: Parliamo una lingua o un linguaggio? Quanto una lingua (o un linguaggio) influenza il nostro modo di pensare? È possibile farlo senza? In che modo la lingua con la quale pensiamo organizza la realtà in cui viviamo?

Svolgimento

A prima vista le parole “lingua” e “linguaggio” sembrano avere lo stesso significato. Tuttavia, esaminandole più attentamente si noterà che esse sono due concetti diversi ma strettamente collegati. Il linguaggio è considerato un prerequisito e una capacità umana che rende possibile una comunicazione tra due o più persone. Le lingue, invece, rappresentano le diverse realizzazioni del linguaggio. Possono essere lingue parlate, come l’italiano, il tedesco, l’inglese o il turco, ma anche lingue non verbali, come la lingua dei segni. Ciò significa che tutti gli esseri umani (e anche animali) sono dotati di un linguaggio, cioè della capacità di parlare, mentre le lingue, cioè le diverse realizzazioni del linguaggio, dipendono da vari parametri culturali e sociali. Dunque parliamo una lingua che si fonda sulla facoltà universale di parlare (linguaggio). Detto questo, passiamo alle seguenti questioni: In che misura la lingua influenza il nostro modo di pensare? Ed è possibile farlo senza? 

Per esempio, se ripensiamo all’ultima vacanza ci rendiamo subito conto che non abbiamo bisogno di una lingua perché la maggior parte dei pensieri appare in forma di immagini. I bambini piccoli (circa 0-2 anni) sono un altro esempio. Anche se non parlano ancora una lingua si può presumere, comunque, che pensino. Dall’altra parte, ci sono tantissime e complesse situazioni in cui la lingua è essenziale per pensare: di conseguenza, abbiamo bisogno di una lingua per organizzare e ordinare i nostri pensieri. 

È interessante notare che le lingue in tutto il mondo sono costruite in modo molto diverso. Gli eschimesi, per esempio, hanno più di 40 parole per la neve. In tedesco, a sua volta, c’è la parola intraducibile Fernweh (ossia ‘la nostalgia dei paesi lontani’). Un altro fenomeno molto interessante avviene nel caso di una persona che parla due o più lingue: questa può usare l’una o l’altra in diverse situazioni; per esempio, usa la lingua A nella famiglia e la lingua B con gli amici. 

In conclusione, si può dire che la lingua gioca un ruolo importante in moltissimi processi
mentali e ogni nuova lingua è un arricchimento per i propri pensieri.

Izel Günselbak

Giovanni Palilla

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