Racconto: Suddito di un corpo – Alessandro Monari
Prese il pane e rese grazie, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli e disse: prendete e mangiatene tutti.
Il giorno della sua prima comunione Ettore Silla indossava un completo blu scuro, scelto da sua madre pochi giorni prima del suo passo decisivo nel mondo dei cristiani adulti.
La giacca che portava, stritolava le sue braccia pasciute allargandosi mano a mano che scendeva verso gli avambracci. Non aveva idea di come potesse apparire con quegli stracci firmati perché sua madre, guidata dall’angoscia del ritardo che al cospetto della chiesa sarebbe stato imperdonabile, non l’aveva fatto specchiare e lui aveva deciso di non pensarci.
L’auto della madre di Ettore era, per lui, un angusto spazio mistico di cenere e canzoni antiche; tanto antiche che nemmeno sua madre, quando la radio le aveva vomitate per la prima volta, era ancora nata. I sedili in pelle consumata odoravano di sandalo per via del profumatore incastrato tra le ventole dell’aria condizionata da sempre e per sempre. Ettore sedeva dietro e ogni volta che poggiava il culo sulla morbidezza del sedile scassato la sua mente viaggiava lontana da quella piccola scatola in cui l’aria era troppo poca per essere condivisa.
Mentre la campagna scorreva al di là del vetro trafitto dal suo sguardo, lui chiudeva gli occhi e si trovava a ballare sulle dune di sabbia con suo padre Lino. Si ricordava del deserto marocchino, quando aveva cinque anni. Del caldo insopportabile e vero quando ancora l’improvvisa scomparsa di Lino Silla era ignota, lontana e inimmaginabile. Se si concentrava al punto giusto riusciva a toccare le braghette corte che indossava. Stringeva il tessuto intriso di granellini invisibili e lo tirava fino a sfilarsi i pantaloni; rimaneva in mutande e suo padre faceva lo stesso.
Correvano, sfrecciavano, erano fulmini che facevano a gara a chi rimaneva nudo per primo senza mai guardarsi. Non si spiavano per paura di scoprirsi troppo simili, non un’occhiata per il terrore di non potersi più considerare due uomini distinti e non una cosa sola. Ettore non aveva nemmeno un dubbio, lui e suo padre dovevano incontrarsi di nuovo e per questo si convinse che, forse, chiedere al buon dio come raggiungerlo sarebbe stata la scelta più giusta.
Esaurito l’asfalto verso la casa del signore, Ettore era sceso dalla macchina e, intravista la sua figura nello specchietto retrovisore, aveva capito che non si sarebbe più vestito così, mai più.
Muovendo quattro o cinque passi aveva raggiunto la soglia del luogo che ai suoi occhi appariva più sacro agli altri, che a lui. Guardava la penombra avvolgere i banchi gremiti di persone, la studiava e aveva quasi paura. Sapeva che ne sarebbe uscito diverso, che avrebbe cambiato idea su tutto, che l’onnipotente gli avrebbe spianato il sentiero per raggiungere suo padre ritrovandolo nudo a farsi mangiare dal sole cocente del Marocco; ma aveva paura.
La voce di Padre Antonio Bassi riempiva la chiesa di San Giovanni Evangelista e i futuri figli della fede l’ascoltavano attoniti, pronti ad ingurgitare il corpo di un cristo la cui esistenza era data per scontata da chi, quel giorno, li doveva cibare di sacralità.
Era arrivato il momento di mettersi in fila per raggiungere l’altare.
Affianco a Ettore sostava suo Zio Egidio, un uomo grasso e lungo con i capelli radi e la testa più grande che avesse mai visto. Non assomigliava per niente a suo padre e per questo Ettore non aveva paura di trasformarsi in Egidio, una volta invecchiato.
Lo affiancava, cercava di sincronizzare i passi al rallenti con quelli del suo padrino e allo stesso tempo sentiva il peso dello sguardo di sua madre senza vederla, era due file dietro di lui. Immaginava il suo sorriso spaccargli la faccia per la smania di vederlo baciato dalla fede che penetrava ogni singolo giorno della sua vita. La pensava contenta e ignara del suo avere paura.
Egidio e Ettore avevano camminato piano, lasciandosi trasportare dalla transumanza degli adepti dinnanzi a loro e dopo pochi istanti erano arrivati al cospetto di Padre Bassi e a quello di Dio. Ettore aveva piegato il capo rivolgendo lo sguardo a terra, stava in silenzio e aspettava le parole del prete, quelle che gli avrebbero fatto rialzare la testa per guardarlo negli occhi e ingoiare la pelle di Gesù.
Si era sempre chiesto, prima di quel giorno, che gusto potesse avere la pelle di un morto e, soprattutto, perché per avvicinarsi a un cristiano così importante si dovesse masticare la sua carne, assaggiarne il corpo. Non aveva ancora trovato una risposta a questa domanda ma era contento di poterlo fare, in quel modo avrebbe almeno potuto capire che gusto avesse la pelle di suo padre morto, come il signore.
Due persone davanti a loro e poi il suo turno sarebbe arrivato.
Il corpo di cristo.
Padre Bassi sussurrava, il tono della sua voce trasudava intimità mista noia. Ettore sospettava che il prete dinnanzi a loro si fosse stancato di offrire il corpo del padre supremo a tutta quella gente in fila. Che la sua devozione alla purezza della fede fosse scemata negli anni, che avesse perso il gusto di vivere per qualcun altro e non per lui. Solo quando aveva alzato la testa rivolgendo la sua bocca aperta, secca, rossa e affamata verso la mano di Padre Bassi aveva visto il brilluccichio illuminare gli occhi dell’uomo che lo stava per nutrire.
Era rimasto a quell’immagine, alle pupille pregne di gioia che non aveva mai visto. Aveva fermato la sua impellente crescita al momento in cui la pelle di Padre Antonio Bassi, luminare della conversione alla fede cristiana, figlio di Dio, aveva sfiorato le sue labbra sottili e le aveva inumidite con il sudore che gli annacquava le dita.
Ettore, per la prima volta, si era sentito suddito di un corpo; della pelle di Padre Antonio e del volere di Dio e così credeva che avrebbe vissuto per l’eternità cercando di trovare il posto in cui suo padre si stava facendo cuocere dal sole dell’Africa che, in realtà, non avevano mai visitato insieme.
Amen.
Alessandro Monari è nato a Modena nel 1998. Ha studiato psicologia all’università di Trento, e mentre concludeva i suoi studi universitari ha intrapreso un percorso di studi in sceneggiatura alla scuola Holden. Da lì è approdato al master IULM Arti del Racconto Cinema e Televisione: un percorso che sta attualmente concludendo attraverso uno stage nella casa di produzione cinematografica Indigo Film.