Il biopic di Lamborghini, ovvero come sprecare una grande storia
Lamborghini, in inglese Lamborghini: The Man Behind the Legend, è il nuovo film diretto da Bobby Moresco, già sceneggiatore di Crash – Contatto fisico, e distribuito in Italia da Prime Video. Come si evince dal nome, si tratta di un biopic, basato sul libro biografico scritto da Tonino, il figlio di Ferruccio Lamborghini, fondatore dell’iconico marchio automobilistico che, dopo esser stato meccanico durante la Seconda guerra mondiale, intraprende uno stupefacente viaggio imprenditoriale che lo condurrà a fondare la casa automobilistica bolognese, tra le più prestigiose e iconiche del pianeta.
La storia di Ferruccio Lamborghini possedeva tutte le caratteristiche per essere una solida base per un film con i fiocchi, ma purtroppo l’opera di Moresco si rivela totalmente fallimentare.
La prima parte: la giovinezza
Il film può essere suddiviso in due grandi blocchi, Ferruccio giovane e Ferruccio adulto. Nel primo, il giovane Ferruccio è deciso a fondare un’azienda di trattori che rivoluzioni il mercato. Sebbene la primissima parte sia la più interessante, con un buon Romano Reggiani nei panni di Ferruccio da ragazzo, già dalle prime battute si intuisce la pochezza dei contenuti e la banalizzazione della storia. In un baleno Ferruccio diventa imprenditore affermato, senza alcun pathos nel raggiungimento del suo obiettivo, salvo alcuni battibecchi con il padre (interpretato da Fortunato Cerlino) che appaiono banali e frivoli. Era difficile rendere così poco interessante una vita come quella di Lamborghini, eppure il film ci riesce in modo fastidioso, attraverso una sceneggiatura francamente deludente ed una caratterizzazione dei personaggi raffazzonata e smunta.
È impossibile empatizzare sia con i sogni del giovane Ferruccio, sia con l’amico fidato Matteo, sia, persino, con la moglie Clelia Monti, trascurata dal marito. L’Italia, romanzata e amena, risulta irrealistica, come persone e dialoghi. La regia è discreta seppur scolastica, la fotografia ottima, ma tutto si perde nel calderone caotico e ammassato che, con una precocità preoccupante, si trasforma in un melò a tinte drammatiche paragonabile alle fiction che attanagliano differenti canali all’ora di pranzo.
Una scena che in teoria dovrebbe avere un forte impatto emotivo è quella della dipartita della giovane moglie durante il parto, con l’assenza di Ferruccio, troppo preso dal suo lavoro. Ecco, neppure quella riesce a coinvolgere il pubblico, perché confusa e rapida, quasi anticipata da situazioni di routine.
Il filo conduttore temporale è corretto ma quantomeno azzardati sono i tagli alla trama e le sintesi, come il litigio tra Ferruccio e Matteo (causa l’amore di una donna). La fine di una storica amicizia, un ottimo pretesto per conoscere i due personaggi ed immergersi nella storia, fila via con una ingiustificabile superficialità. In un batter d’occhio.
La seconda parte: l’età adulta
Nella seconda parte, con Ferruccio adulto, il film peggiora a vista d’occhio. Deluso dalla sua sfavillante Ferrari, da produttore di trattori Ferruccio ambisce alla produzione della “automobile più bella del mondo”. Il rapporto conflittuale tra Ferruccio ed Enzo Ferrari (Gabriel Byrne), forza motrice nell’animo dell’imprenditore bolognese, è spento e poco coinvolgente, con le sequenze di una fantomatica gara in strada tra i due sconclusionate ed effimere. Anche il rapporto tra Ferruccio e la nuova moglie, altamente ostile, è affrontato con trascuratezza e scarsa profondità: i litigi tra i coniugi, forse, sono i punti più bassi e meno credibili toccati dalla pellicola. Oltre i succitati difetti, si accentua la dissonanza tra la produzione straniera e la volontà della stessa di sottolineare la matrice italiana della storia. Il doppiaggio è tremendo e, nonostante le origini calabresi, Frank Grillo è poco credibile, statico.
La durata di 1 ora e 30 minuti circa depotenzia il ventaglio di opportunità della storia che, come detto, viene espressa in modo altamente insufficiente. Lamborghini è un esperimento fallito che, nonostante un’esaltante biografia da poter sviscerare e un consistente budget a cui poter attingere, con un parterre di ottimi attori, non solo non riesce a coinvolgere lo spettatore ma, anzi, annoia e tedia dopo pochi minuti di visione. Arrivare alla fine è un atto di generosità e coraggio.
Ciro Cuccurullo