La libertà sta nel movimento, un testo di Yassin Al-Haj Saleh
Libertà (Terra Somnia Editore, 2022) è il titolo che straborda sulla copertina italiana del saggio di Yassin Al-Haj Saleh. Le lettere si mescolano tra loro, quasi invadenti nello spazio che hanno a disposizione. La “L” diventa un tutt’uno con la “T”. L’accento si fa largo tra la -i e la -e. Malgrado questo, la parola “libertà” si ricompone facilmente e si nota la rappresentazione grafica di un concetto che unisce, taglia, supera ogni confine.
In tal modo, si partecipa all’idea che ha lo scrittore di prepararsi a una «riflessione a briglie sciolte sulla libertà», senza barriere.
Partendo così da questa immagine, ecco che più in basso, il titolo è seguito dai due punti, si dispiega quindi in alcune parole-chiave e il suo significato diventa più tangibile: è casa, prigione, esilio [e] il mondo.
Un capitolo alla volta, sono trattate questioni varie, molto concrete, appartenenti al vivere quotidiano e trasportate su un piano astratto, concettuale e, proprio per questo, profondamente diretto.
Yassin Al-Haj Saleh è stato definito dai compatrioti come la «coscienza della Siria», un luminaire che, nei suoi ragionamenti, passa la palla al lettore in continuazione: cosa ne pensi? Sei presente davanti alle mie riflessioni? Sono proprio queste che creano contatto in un’analisi innestata da prigionia politica e dall’esilio, prima a Istanbul e poi a Berlino, durante gli anni delle rivoluzioni arabe.
Il luogo, la casa, l’esilio
Lo spazio è una coordinata fondamentale fornita per orientarsi, perciò un primo interrogativo: qual è il luogo della libertà?
Al-Haj Saleh non dà delle direttive durante questa ricerca, non c’è un dentro o un fuori. L’identificazione del luogo della libertà avviene quando si smette di definire “casa” solamente quella di origine e, allora, «definiamo la nostra casa proprio attraverso l’esplorazione del mondo, conoscendo case che non sono le nostre e anche cambiando la nostra stessa casa». Viene meno l’immagine di un orizzonte da raggiungere o, addirittura, da lasciarsi alle spalle.
Georges Khalil, nella prefazione al testo (gennaio 2020), sottolinea un passaggio interessante portato avanti dallo scrittore siriano: «[Egli] prospetta una particolare concezione della casa intesa come heimat, ovvero di case/patrie, che in definitiva potrebbero creare un mondo aperto a tutti». Heimat è la perpetua costruzione del divenire. Da qui infatti, si capisce, la libertà sta nel movimento.
L’esilio si immette in questo quadro come un qualcosa in più di una restrizione fisica perché porta cucito addosso delle verità angoscianti, come ad esempio la rottura forzata dalla propria terra: il primissimo luogo in cui l’uomo individua il suo punto zero lungo gli assi cartesiani della vita.
In che modo il grafico si evolve quando c’è un impedimento in una certa parte del mondo? L’esilio è espulsione. E nell’essere rigettati, chi è esiliato perde la possibilità di tornare. Questa perdita incide sull’io, sulla propria diversità e sulla facoltà di disegnare e ridisegnare le proprie origini.
«La libertà è poter partire nella consapevolezza di poter tornare. […] La libertà è anche l’opposto di quel senso di “alienazione” che proviamo quando ci troviamo in un mondo “senza mappe” o punti di riferimento, e in cui ci aggiriamo senza meta e privi di un’unità di misura […]».
Il testo lancia dei messaggi di superamento dell’espatrio fisicamente imposto. Il tormento di una vita in esilio sembra trasformarsi in energheia per un contributo letterario che sgretola i limiti politici, storici e sociali. L’esperienza tragica, nel testo, è una sua forza:
«Ogni atto di libertà, lasciare la propria casa, allontanarsi dal presente, separarsi dalle tradizioni normative, staccarsi dal proprio io, abbandonare una religione e ribellarsi alla ribellione stessa è un’avventura. È sempre arduo e può anche essere drammatico».
L’arroganza, il mondo, la sua dignità
Così, dallo spazio, si passa al tempo che racchiude l’uomo nella sua bolla. La libertà, in quanto movimento, diventa la possibilità di agire in questa bolla. Di oscillare tra il passato e il futuro, ma riflettendo innanzitutto su un presente che ha una «natura arbitraria» e di cui l’uomo è costruttore.
Lo scoppio della bolla è necessario per permettere che questo movimento non si cristallizzi in una delle sue forme temporali. Il tempo ha generato cultura che ha inglobato l’ignoto, il caos, la desolazione primordiale. Quando non c’è più niente da imparare, chiudiamo le nostre case, la nostra heimat, per proteggere quello che già c’è e l’isolamento non permette di conoscere i mondi che stanno dentro di noi. Questa realtà può pericolosamente trasformarsi in una prigione. È nel tempo che siamo diventati figli di società razziste e compromesse dall’arroganza, dimenticando che il pensiero viene in soccorso solo se può espandersi.
Su queste tematiche, l’autore batte più volte portando in verve una visione filosofica semplice quanto complessa: legare la dignità dell’uomo alla libertà.
La dignità è la parola giusta che accompagna tutto il resto. Essa si ricerca nel singolo ma trova una sua struttura solo nella collettività, respingendo l’egoismo del potere e dando spazio all’immaginazione e a relazioni sociali più eque. Per questo, egli parla di libertà attraverso un modello teorico che si sorregge solo grazie a un atteggiamento attivo del singolo. In questo modo, lo scrittore stesso si sente responsabile di un pensiero; con le sue riflessioni, ha creato uno «spazio ellittico», che lo studioso David Damrosch definì come un’area di incontro tra la cultura del testo di origine e tutte quelle che lo recepiscono.
Il saggio potrebbe trovare un’immagine fortunata nel Mediterraneo, un mare che bagna spiagge diverse e ne mescola i ciottoli e i colori, ne corrode le resistenze.
La potenzialità delle pagine di Yassin Al-Haj Saleh sta proprio nella sua wordliness: mondialità. È un testo con uno stile asciutto e preciso. È un’avventura che, attraverso la traduzione di Monica Ruocco, acquisisce nuovi contesti di appartenenza, nuove connessioni e dimensioni parlando di noi, del mondo in cui viviamo. Del privilegio e della sua assenza.
«Dobbiamo cambiare il mondo nel mondo, perché il mondo è un bene universale, a beneficio di tutti: di ogni individuo, di ogni società e di ogni comunità».
Maria Pia Sgariglia