TUM(U)ORI. 1.
Il testo che segue è un racconto lungo/romanzo breve illustrato che verrà pubblicato a puntate su questa rivista. I pochi che avranno la pazienza di leggerlo si accorgeranno che un gran bel disordine regna tra le righe. È compito del lettore trasformarsi in zelante governante e spolverare, rassettare, lucidare parole e periodi, mettere ordine. So da esperienze passate (ricordo molto vividamente il disappunto di mia madre nel provare a riordinare il caos da me generato) che il lettore non apprezzerà e forse maledirà l’autore o annoiato abbandonerà l’impresa, ma se in questa confusione egli troverà una sola limpida frase, un qualunque oggetto di suo gradimento vi assicurò che potrà considerarlo suo, mai mi permetterò di chiederlo indietro.
TUM(U)ORI
Sulla soglia, sulla soglia della porta c’è lui, bloccato con una mano in alto impegnata a scuotersi in un saluto e con un’altra fissa sulla maniglia. Guarda lei e dice: io esco a comprare regolari sigarette!
Lei schiaccia il divano con le sue forme, ah le sue forme, i suoi occhi poco indugiano sul figuro bloccato con le mani in saluto e pronte a scattare sulla maniglia, indugiano indulgenti e amorevoli ma per un battito di ciglio soltanto, poi repentini tornano su pagine cartacee (quelle pagine che lei annusa sempre prima di consumare e consumarsi), la sua voce intona un: prendi anche mungitura e fuoco per i giorni a venire, please.
Non c’è supplica nella sua richiesta, non è un ordine o un consiglio, non è un avvertimento, è solo vita, quella vita, sì, proprio quella a cui stai pensando, non ti sbagli.
La soglia
Le porte da qualche parte portano, è evidente, altrimenti non si chiamavan porte. Opzione mai scontata e quanto mai pericolosa è aprire una porta, chissà dove ti porta; attraversare una soglia richiede preparazione, e preparato lui si accingeva a varcare la soglia. Abbandonava, con tuta isolante e maschera antigas(sate), i tepori casalinghi, non natii ma pur sempre casalinghi e duramente conquistati, per un ignoto deserto radioattivo.
I pericoli dei deserti radioattivi sono ben noti a tutti, e lui era consapevole della necessità di limitare il tempo di esposizione alle sabbie putride e alla luce malata tanto che senza remore pensava: questo paese è un deserto! servirà una cavalcatura.
Così da lì a poco ce lo ritroviamo sulla plastica sella di un dromedario di terza mano a sollevar polveri che illuminate dal sole, rossiccio come un eritema, giocano a cambiar colori e a inventarne di nuovi.
Lontane, sottili come una linea, stanno le montagne. Il nostro è però assorto, e non vede né linee né colori, solo cogita sulla difficoltà di raggiungere lo spazioporto. Questo paese è un deserto, pensa.
Chiarimento
Il problema di questo paese non è un problema da niente, non è un problema da prima elementare con contadini e mele irrimediabilmente perdute. È un problema da astrofisici con risvolti metafisici.
Vuoto contornato da vuoti a rendere. Resi e rese. Aggiungi un pizzico di sadismo privo di ironia, aggiungi i rapimenti, le torture, le storture. È un paese con i suoi problemi, le soluzioni sono lì tra le mele irrimediabilmente perdute e il contadino distratto.
Fine
E poi succede, tu sei lì tranquillo che cogiti su un dromedario usato, che viaggi verso uno spazioporto a caso per adempiere alla vita ed ecco che ti si piazzano armati e alieni, due animali in divisa, porco uno, e l’altro con tre tentacoli lì dove ci si aspetta un naso, verde come quel vomito, quello di quella notte, ricordi? Per il resto un porco anche lui. E ti intimano un alt, tu ti fermi, che altro puoi fare?
Un pensiero
Cazzo, non è piacevole incontrare nel deserto radioattivo questi brutti grugni sempre pronti a fermare, perquisire, multare, prevaricare, servire, espatriare, avvelenare, annusare, prevenire…certo, certo, sono di grande aiuto quando hai male e il manganello gentile, premuroso, ti aiuta a dimenticare i guai, la rabbia, il dolore, la noia. Io sono solo costretto a salire sull’astronave a sirena spianata.
Un attimo
Un attimo ed eccoci qui, inermi, davanti a una gelatina bluastra armata di stetoscopio e solidissime unghie, che più che unghie sono aculei di pietra (pietra nera arrivata da chissà quale spazio profondo per farsi adorare, e per controllare con occhio d’angelo).
Tutto poco rassicurante, davvero. Dai grossi tentacoli burrosi, che nei riflessi della gelatina nascondono curatissime e morbide mani prive di callosità, sono pronti a spuntare strumenti di analisi e scavo. Ogni pelo del tuo corpo sarà oggetto di analisi, ogni poro, tutto sarà analizzato e tu starai buono, non ti muoverai, aculei scaveranno la tua carne e tu ringrazierai perché è per il tuo bene. Cominciano le analisi, “alla fine è servito a poco abbandonare matematica per la paura di analisi due”.
Infila, inietta, preleva, analizza, sonda, ultrasuona, radioattiva, esamina, aghizza, stantuffa, irrora, diagnostica, salassa, testa, sperimenta, teorizza, scintigrafa, tacca, seziona, chemioterapizza, rassicura, terrorizza. È per il tuo bene, senti dire mentre, immobilizzato mani e piedi, ti infilano pian piano in un portale di sondaggio corporeo e non; tu ovviamente pensi, cazzo che culo! Fracasso e clangore chissà da dove, ticchettii e bipaggi che almeno assicurano uno scorrere del tempo, almeno il tempo scorre, almeno il tempo passa.
Attese
Lo sai com’è nato l’universo? Questo universo? Gli scienziati raccontano molto educatamente, proprio come delle rattrappite e incappellate signore inglesi all’ora del tè, che l’ universo è nato con una esplosione, prima c’era qualcosa chiamata singolarità, un punto infinitamente denso.
Ecco come è nato l’universo, da un buco di culo, un’esplosione, sì, una mega scarica di diarrea composta da elementi primordiali; è vero siamo fatti a immagine e somiglianza, è vero, e il settimo giorno si pulì il buco del culo. È tutto un sogno, non preoccuparti, questo clangore, questi aculei, questo sangue, sono della stessa sostanza del sogno; tu sei fatto della stessa sostanza del fuoco e della devastazione primordiale (dio avrà mangiato piccante?), tu sei esplosione di luce, fotoni, sei una deriva senza fine di neutrini, di quark ed elettroni, sei gas vorticante, esplosivo, e palle di luce ardenti in manti cosmici, e ti ruoti e ti giri e ti schiacci in fiammeggianti dischi.
Il tuo pensiero è un virus che imputridisce il cosmo, perché nascondersi. Stacca gli occhi da questi fogli e va’ alla finestra, lo vedi quel sole schiacciato sul cielo? C’è ancora? Quella palla di fuoco ti somiglia molto, palla di pus e sangue. Ecco, ora puoi andare a copulare come un cane, va’, continua a infettare il cosmo, non è colpa tua eh, è il virus.
Non ci resta che aspettare mio caro, è tutto nelle mani del signore, quel signore gelatinoso e bluastro. Nel frattempo senzafaccia, piazzati su sedie, ti scrutano dietro a spettrali volti senza occhi, lavagne pulite, cancellate e tutte voltate verso te. Ancora puoi sentire l’eco di discorsi infiniti, sempre gli stessi, una litania, una liturgia sempre uguale, sempre lo stesso dolore, sempre le stesse paure, è rimasto solo l’eco; tu aspetti che puoi fare? e lei aspetterà? Pensa pure, il pensiero non ti farà fuggire. L’orologio biologico alla parete emette un grido dal suo buco interfonico ogni ventinove minuti, ho perso il conto, mi tocco il volto, i miei occhi, il mio naso… è tutto al suo posto; i senzafaccia continuano a fissarmi ma non c’è odio, non c’è nemmeno pena o una briciola di affetto nel loro non-sguardo, anche questo è solo l’eco di una vecchia abitudine scomparsa da millenni, i senzafaccia sono solo rivoltati in sé stessi come calzini, non percepiscono altro che sé stessi.
Forse era meglio l’attesa. Il gelatinoso in blu mi snocciola un destino, il mio, con la stessa partecipazione con cui si potrebbe leggere una lista per la spesa: sappia che lei è molto malato, ma non pianga del suo male altrimenti dovrebbe piangere sé stesso, il suo è un male innato, connaturato, strutturato. Non ci rimanga male, non sia banale, serviranno altre analisi, sì anche del condotto anale, non si lamenti, non sono brutale, pensi al suo bene personale.
(continua…)
racconto sicuramente originale. altrettanto sicuramente tornerò per seguire gli sviluppi degli elementi primordiali che infettano questo racconto/romanzo universale. ohi, magari a lungo andare in registro narrativo garbatamente entropico potrebbe risultare stancante o diventare astrattamente ripetitivo, ma almeno per ora le “attese” non sono state deluse.
: )
mi porto via il dromedario usato (per cogitarci sopra anch’io), ma prometto di restituirlo qualora dovessi chiedermelo indietro
ti ringrazio! Facciamo così: se il racconto si fa troppo stancante e confusionario il dromedario già usato lo regalo ben volentieri a te, visto che qui ormai con la ZTL questo tipo di veicoli sono stati vietati!
Bellissima idea.
Grazie!