Un milione di frasi e un miliardo di parole d’amore per il vecchio Paz!
Parlare di Andrea Pazienza, in arte Paz, non è facile, cercare di capirlo lo è ancora meno anche se nei suoi fumetti cerca in tutti modi di raccontarsi finendo il più delle volte con l’essere frainteso.
Paz muore nell’88 per overdose di eroina a soli trentadue anni nella casa in campagna a Montepulciano che condivide con la moglie Marina Comendini; gli amici lo descrivono felice accanto a lei, lontano da quella Bologna che lo stava velocemente consumando. «Non potevo rimanere» dice nell’intervista a Red Ronnie, «erano dieci anni che ci stavo, avevo esaurito le storie belle e mi restavano solo le più pese (“pesanti”, ndr). In tutti i sensi voglio dire, anche solo di noia, di casino, gente che andava, veniva, mai un attimo di pace, lavori che non riuscivo mai a consegnare in tempo, una brutta fama che mi stavo facendo…».
Era andato via da lì, aveva girato il mondo insieme a Marina, appariva bellissimo e abbronzato nell’ultimo periodo, eppure appena un anno prima del triste epilogo era uscito un suo racconto a fumetti dell’ ’84 che col senno di poi dà i brividi per quanto sembra essere la cronaca di una morte annunciata, Gli ultimi giorni di Pompeo.
Pompeo è un tossicodipendente, fumettaro, che vive sotto il cielo bianco di Bologna (vi ricorda qualcuno?). Si sveglia una mattina come tante con la solita ruota che avanza, si fa la prima pera della giornata e scende in strada a cercare la prossima dose. Si perde nel traffico e nei rumori, tra le palpebre in calo degli altri tossici e i discorsi senza senso del suo spacciatore. Si ricorda di una donna, un tempo lontano, a cui si era legato, per la quale gli era venuta la voglia di ripulirsi, ma era durata troppo poco per portare avanti i buoni propositi. Incontra una “vecchia troia” che non riesce a trovare la vena, l’aiuta, se ne va. Torna a casa.
È il momento di farsi un’altra pera per far tornare tutto bello, più splendente di prima.
Perché l’alternativa qual è? Pompeo/Pazienza lo sa bene: «la birreria, il lavoro, il risparmio, il normale sfaldarsi del corpo, lo studio, l’amore (…) Palle anche lì, palle peggio di qua. Vuoi mettere risorgere, risorgere, risorgere…», dice. Ma una voce fuori campo spietata gli chiede: «Pompeo, sei tu dunque, come si dice, stanco?» «Sì, sono stanco, stanco».
E da qui il proposito suicida, il desiderio di una serenità che non sia solo temporanea ma eterna.
«Tutto il mio futuro è in un c.c. – pensa Pompeo- basta il fondo di una lattina, una siringa, un residuo di limone, una dose in un po’ d’acqua e TI SALUTO MALINCONIA». Ecco la descrizione, dettagliata, lucida di quello che accadrà tre anni dopo.
In un’intervista alla mamma le viene chiesto se ha letto tutti i fumetti del figlio, lei risponde: «Non ho mai letto Pompeo. Perché non so come potrei reagire. So che dentro c’è tanta sofferenza e… credo che mi farebbe troppo male».
Ma perché Andrea ha scritto Pompeo? Forse per lasciare alle spalle quella parte così dolorosa di sé, per metterla nero su bianco e poi poter andar avanti.
Nella postilla d’autore scrive:
«Cari voi che mi avete seguito sin qui.
Così finisce l’ultima puntata di Pompeo e, presumo, anche un lungo capitolo della mia vita. Questi s’era aperto “fumettisticamente” nel settantasette con Penthotal (del quale Pompeo è forse l’alter ego invecchiato) e, tra alti e bassi, chiude adesso, nove anni dopo».
Pazienza nomina Penthotal, uno dei suoi primi personaggi, l’artista della Bologna invasa dagli scontri coi fascisti e dalle rivolte studentesche, dice che Pompeo è il suo alter ego invecchiato, rendendo chiaro un nesso che al lettore era sfuggito, il continuum che unisce due universi così apparentemente lontani. L’inizio e la fine della sua carriera.
Chi era allora Andrea Pazienza? Il fumettaro geniale? Il tossico sfatto? Lo scrittore occasionale di poesie tanto belle quanto sconosciute?
Era questo ma anche tanto altro, era soprattutto quello che c’è dietro. Mi viene in mente un’intervista in cui parla di uno dei suoi personaggi più controversi, Zanardi, il giornalista gli chiede perché sia così cattivo e lui risponde che Zanardi è cattivo quanto lo è un’antenna della Rai, egli ripete quello che la società gli offre anzi quello che della società lo fa commuovere perché, dice Andrea, «la commozione non è sempre una cosa buona» e il dolore e la rabbia di Zanna trovano sfogo nei gesti più crudeli.
Il vecchio Paz, come lo chiamavano i ragazzi di Montepulciano («e si fa per dire ‘vecchio’… ho ventinove anni!» dice nella postilla a Pompeo), è l’artista che ha rivoluzionato il mondo del fumetto italiano, che ha avuto il coraggio di chiamare letteratura i suoi disegni; è la persona che si è sporcata la vita inseguendo un pensiero che diceva: Amore è tutto ciò che si può ancora tradire; è il giovane che riusciva a mettere insieme nelle sue opere dolore, allegria, malinconia, tenerezza e ironia.
Forse se n’è andato troppo presto, forse aveva detto abbastanza ma quel che rimane è una grande eredità che va tenuta viva senza rischiare di passare un colpo di spugna su un milione di frasi e miliardi di parole d’amore.
Nike Francesca Del Quercio