Sul debito e la crisi
L’attuale crisi economica si è manifestata nel 2007, quando a Wall Street esplodeva la bolla finanziaria dei subprime. Un’annata che resterà nella storia, durante la quale si sono susseguite piccole e grandi sciagure; proprio negli anni successivi a quell’11 settembre che ha segnato a suo modo le sorti del mondo. Basterà citarne alcune per farci un’idea di quanto la crisi, allora agli albori, non riguardava solo l’orbita economica: Steve Jobs presentava e lanciava sul mercato l’iPhone, il primo megafono per i millennials; Angelo Bagnasco, nominato a capo del Cei nell’estate precedente da Benedetto XVI, iniziava a dare il meglio di sé sui temi dell’omosessualità e della pedofilia; in Italia veniva festeggiato il primo Family Day; Beppe Grillo presidiava il primo V-Day e il mondo perdeva i maestri Luciano Pavarotti, Enzo Biagi e Gigi Sabani – che ricordo con particolare enfasi per aver prestato la propria voce a uno dei gruppi più sottovalutati nella storia della musica italiana: gli Squallor.
Tuttavia, ciò che ci è rimasto di quei mesi oscuri – oltre a una perenne e sterile polemica sui disastri provocati dalla Chiesa e dalla politica reazionaria e destrorsa – è la crisi economica e finanziaria. Essa ci perseguita, pronta a ricordarci quanto sia grave la situazione, a porre l’attenzione su ogni minima fluttuazione dello spread, di quelle dei titoli in borsa, del calo della qualità della vita in quei paesi economicamente più marginali e di come questo stato di cose dipenda in qualche modo da noi. Il caso europeo della crisi dei debiti sovrani che sarebbe scoppiata solo nel 2010, ci riguardava in realtà molto da vicino già anni prima, ma non se ne è mai parlato perché è dagli anni ‘70 che l’indebitamento, precedentemente utilizzato in maniera molto più oculata, ha cominciato a ricoprire un ruolo centrale nella finanza mondiale.
In particolare, è con la trasformazione di quegli anni che bisognerebbe confrontarsi per comprendere almeno le meccaniche dei nuovi strumenti finanziari e della cartolarizzazione dei debiti. Cartolarizzare un debito significa renderlo vendibile a terzi. In altre parole, se io ricevo del denaro in prestito da un amico, che a sua volta venderà il debito che ho contratto con lui a un’altra persona con cui aveva un conto in sospeso, io non sarò debitore a colui che mi ha dato i soldi, ma a quel terzo, che a sua volta si rivolgerà a un quarto e via discorrendo, creando una catena praticamente infinita nella quale i profitti si decuplicano nella forma dei meglio noti ‘tassi d’interesse’.
Non è il luogo né lo spazio adatto per darci a lunghe e noiose spiegazioni su come la crisi del 2007 – nata negli Usa – abbia poi contagiato l’economia mondiale, ma l’esempio di cui sopra rende conto di quale sia la logica che è soggiaciuta all’intero sistema di indebitamento privato statunitense e di quello pubblico europeo. Per completare il nostro, seppure vago, comparto “tecnico”, è importante tenere ben presente il ruolo decisivo delle agenzie di rating, la cui funzione è equiparabile a quella dei bookmakers: essi decretano la qualità delle azioni – o dei bond, nel caso dei titoli di Stato – dalla quale dipenderà il livello di fiducia degli investitori.
Il risvolto più drastico delle pratiche di indebitamento tuttavia è rappresentato dall’elemento della violenza, celata nell’impersonalità che soggiace alla scienza dei rapporti economici. La moneta, in questo senso, non è altro che il simbolo in nome del quale i rapporti, che altrimenti sarebbero personali, si spostano nell’orbita della freddezza matematica, in cui l’individuo si annulla, per far spazio infine al soggetto indebitato. Una trovata che si è rivelata vincente dai tempi di Adam Smith, perché riesce egregiamente nel compito di eludere in toto il campo della moralità, lasciando spazio alla violenza delle raccomandate recapitate dal postino, delle “lettere” di Equitalia e di tutte quelle notifiche che “bussano a quattrini”.
Il creditore, secondo la logica ferrea della finanza, ogni qual volta cede denaro in prestito, matura un diritto dinanzi al quale la vita privata del debitore perde ogni valore, perché resa vivibile dal denaro ricevuto.
Per figurarci bene ciò che abbiamo detto finora, proviamo a soffermarci sulla trama di Dogville, film diretto da Lars Von Trier, nel quale l’elemento della violenza emerge in tutta la sua potenza distruttiva. La protagonista, una giovane fuggiasca di nome Grace, giunge in un piccolo villaggio, i cui abitanti le offrono ospitalità e mettono in salvo la vita, in cambio di piccoli lavoretti. Nessuno pretende denaro, ma tutti portano avanti un gioco che vede la giovane donna sempre più vittima di soprusi e violenze, a cui fa da sfondo un ricatto: aver salva la vita, in cambio di una vita di schiavitù. Il film del regista danese non è altro che un debito i cui interessi crescono in maniera illimitata, calcolati sul credito più grande che si possa fare a una persona: salvargli la vita.
Perché calarsi in un esempio tanto drastico? Per dissonanza, è chiaro. Il credito al consumo non salva la vita a nessuno, piuttosto la rende sopportabile o, per chi preferisce, vivibile. Resta tuttavia nascosto agli occhi di noi consumatori che quel credito non è solo la soluzione a una momentanea mancanza di danaro, esso si inserisce nella nostra vita come una sorta di battesimo negativo.
Fu Benjamin a intuire che il capitalismo ha un suo culto mutuato in qualche modo dal Cristianesimo, sulle cui spalle è cresciuto in maniera parassitaria, e da cui ha ereditato la tendenza all’esercizio del potere, attraverso l’introduzione della condizione di peccaminosità e di colpevolezza.
Ecco, le pratiche di indebitamento vertono esattamente su questa condizione ma, differentemente dalla religione, non offrono un apparato di espiazione. Il motivo è molto semplice: in caso contrario, si offrirebbe ai debitori una via d’uscita dignitosa dalla condizione di indebitamento, e quindi di colpevolezza, che non potrebbe più essere utilizzata dai creditori per legittimare le proprie pretese.
La matematica, che in genere offre strumenti per sfuggire agli inganni della teologia, al contrario è utilizzata dalla classe creditrice per espiare i propri peccati, creando interi eserciti di peccatori, disposti ad accettare ogni condizione perché chiedere denaro in prestito ha un costo. Tuttavia stabilire la legittimità di quest’ultimo e se essa sia rappresentata dal maturare degli interessi spetta naturalmente alla classe debitrice.
Resta indubitabile, però, che il costo di un debito – pubblico o privato – determinerà le sorti della vita biologica degli individui. L’abbiamo visto per i paesi indebitati del Sud del mondo e lo vediamo ancora oggi per i nostri vicini, in Grecia.
Giovanni Vannelli