Natale, tempo di struffoli, ghirlande, regali e cinepanettoni
Poche cose fanno davvero Natale. L’albero, per esempio. O il cenone, ovviamente, con le sue squisitezze prettamente natalizie. E il cinepanettone. Ormai, in Italia, non si può dire Natale senza il buon vecchio, immancabile, dicembrino cine-panettone.
Il termine viene coniato in tempi recentissimi, all’incirca un decennio dopo la nascita del genere, ed è diventato praticamente di uso comune, tanto che oggi qualunque pellicola italiana arrivi nelle nostre sale durante le festività natalizie viene indistintamente bollata come tale. Attenzione, però, alle generalizzazioni: il cinepanettone si è guadagnato, che vi piaccia o no, un posto di tutto rispetto nei dizionari del cinema e della lingua, e pretende di avere perciò le sue connotazioni (che, a dirla tutta, facilissime da individuare).
Innanzitutto, diffidate dei falsi certificati storici di famiglia: probabilmente avrete sentito dire che le origini del filone cinematografico in questione risalgono alla celebre commedia all’italiana, ai personaggi di Alberto Sordi o addirittura al Totò diretto da Camillo Mastrocinque. Trattasi di tentativi di nobilitare un genere che viene alla luce già screditato e bistrattato (cine-panettone era in principio un neologismo di carattere spregiativo). C’è ragione di credere che la serie comico-vacanziera sia stata concepita soltanto al principio degli anni Ottanta, quando si decise di sfruttare una formula che sembrava promettere grossi risultati. E la formula era sostanzialmente questa: una scrittura superficiale e quasi nulla, risata facile, e grossolanità al limite dell’osceno. Non ci volle molto perché tutto questo si adattasse alla festa più amata dell’anno. Sulla paternità c’è generale consenso: gli ideatori e primissimi artefici del successo del cinepanettone furono i fratelli Vanzina, mentre il produttore era già Aurelio De Laurentiis. Era il 1983, e Vacanze di Natale sbancò al botteghino. Di lì a poco, il testimone sarebbe passato dai Vanzina a Neri Parenti, che ha mantenuto più o meno incontrastato la leadership nel settore. Ma la pretesa e il vanto degli addetti ai lavori di aver portato sullo schermo i costumi dell’italiano medio, sono davvero giustificati?
Difficile credere che quello che vediamo ritratto nei vari Natale a… sia il popolo del bel Paese, o perlomeno la sua fetta più grossa. Sarebbe come dire che gli italiani sono una massa di burloni, fedifraghi, volgarotti, e si finirebbe allora col ragionare per stereotipi, che è un po’ quello che succede in questi film. Considerando, poi, che l’immagine tipica legata alla ricorrenza natalizia è quella della famiglia riunita a tavola, sarebbe stato più coerente partire proprio da lì, piuttosto che spedire i nostri eroi ogni anno in una meta diversa. Neanche gli attori si sono sforzati tanto di avvicinarsi al vero: dapprima Jerry Calà, Diego Abatantuono, Ezio Greggio, Andrea Roncato, poi sostituiti da Enzo Salvi, Paolo Conticini, Biagio Izzo, i Fichi d’India, e in ultimo anche Massimo Ghini e Fabio De Luigi, mentre su tutti spadroneggiava il duo Boldi-De Sica, la storica coppia che si sfaldò nel 2006 prendendo strade diverse ma parallele. Questa banda di coatti e caciaroni può incarnare, semmai, soltanto i vizi di un italiano medio storpiato e imbruttito, ma senza la satira e la riflessione che stava alla base delle opere di Monicelli e Dino Risi. Pure le donne fanno la loro magra figura: che si tratti di Nancy Brilli, di Nadia Rinaldi, di Sabrina Ferilli o della showgirl del momento, la presenza femminile appare legittimata soltanto in virtù di un alter ego maschile che possa sbeffeggiarla e metterla alla berlina, quando non è ridotta a mero oggetto sessuale.
Quanto alla supposta variazione sul tema, avvenuta al principio di questo decennio allo scopo di rivitalizzare un genere ormai ventennale, non si può dire si sia avuta veramente. Nel 2011, con Vacanze di Natale a Cortina, viene rinnovato un po’ il cast (ma non troppo), viene ripulito un po’ il linguaggio (ma non tanto), e l’unica differenza sostanziale è che ad andarsene in giro con un bel paio di corna, stavolta, è l’uomo. Il resto è immutato. Rimane la comicità da bar, rimane un intreccio debole con conclusione spiccia, rimangono i dialettalismi della capitale e le battute falliche. Nell’arco di quasi tre decenni, è rimasta invariata la logica di riempire il cast coll’ultimo fenomeno televisivo e con la bonazza di turno, la sceneggiatura sempre abborracciata e tirata su a forza di doppi sensi, i cliché, i tempi del piccolo schermo trasferiti ingiustamente al cinema, il maschio farfallone, e una cialtroneria sbandierata sempre e comunque.
C’è chi dice che, dopo quella data, il cinepanettone inteso in senso classico si sia esaurito, e che i film di Natale abbiano virato verso altre direzioni. Che ripescano, ciononostante, le stesse regole del cinepanettone di sempre. L’unica cosa che manca è proprio il viaggio. La vacanza. Adesso l’azione si è trasferita tra le quattro mura di casa, e la famiglia torna a festeggiare attorno alla tavola, come da tradizione. Da Il peggior Natale della mia vita a Indovina chi viene a Natale, da Ogni maledetto Natale a Un Natale stupefacente, ritroviamo ancora le macchiette stereotipate, i volti della tv, le gag sui genitali in tutte le salse, persino qualche volto noto che ritorna. Come se bastasse cambiare ambientazione per cambiare anche genere. Tutto questo, forse, perché i cambiamenti sono sempre lenti ad attuarsi. O più probabilmente, perché il cinema in Italia fatica un po’ a trovare una strada al di fuori delle vecchie abitudini.
Andrea Vitale
L’ha ribloggato su Gli Anni e Le Ore.