I passi nella nebbia del commissario Soneri
Qualche settimana fa ancora un’interessante occasione di incontro fra un autore italiano e i lettori francesi in una bella libreria alle porte di Parigi.
Sprofondato in un divano di velluto rosso, Valerio Varesi risponde alle domande del padrone di casa, Jérôme, un libraio entusiasta e appassionato. È venuto a parlare dei primi due suoi romanzi tradotti in francese, in attesa del terzo previsto per il 2018 e, ci auguriamo, di molti altri. È venuto a parlare anche della sua tecnica narrativa nella costruzione dei personaggi e delle trame, nonché del ruolo della Storia nei suoi romanzi: tutto ciò che fa la differenza fra i suoi polizieschi e polizieschi, diciamo, d’intrattenimento.
Agullo è la casa editrice che lo pubblica in Francia, una casa editrice giovane (un paio d’anni di attività alle spalle) che ambisce ad abolire le frontiere (intese come fratture e incomunicabilità create artificialmente) pubblicando autori provenienti dagli orizzonti geografici e culturali più diversi.
Valerio Varesi è giornalista e scrittore. Nato nel 1959 a Torino da genitori parmensi, pubblica il suo primo romanzo nel 1998: si tratta di Ultime notizie di una fuga, liberamente ispirato dal tragico fatto di cronaca dell’assassinio dei genitori e del fratello perpetrato da Ferdinando Carretta.
Dalle inchieste legate a fatti di cronaca, dall’osservazione e dal radicamento nel territorio della valle del Po, e dall’interesse per la Storia, nascerà il personaggio del commissario Soneri e la serie di romanzi di cui è protagonista.
Spiega Varesi che si tratta di un commissario atipico, taciturno, solitario, amante della buona cucina e del buon vino (ride l’autore quando dice che non potrebbe essere altrimenti per un personaggio che si muove in quelle zone). Un commissario in movimento, in evoluzione, non sempre uguale a sé stesso e che sente il peso del tempo che passa (a differenza di altri commissari celebri in letteratura, come Maigret).
Un commissario, soprattutto – spiega ancora l’autore – che si differenzia dai commissari onniscienti dei romanzi polizieschi di deduzione, quei romanzi che sono espressione positivista del potere assoluto della ragione. Per Soneri la ragione non è tutto, anzi. Una grandissima parte dei suoi risultati investigativi gli viene dall’intuizione, dalla sensibilità, dalla capacità di assorbire il contesto e i personaggi, e dalla capacità di entrare in empatia con questi ultimi. Del resto non tutte le domande trovano risposta alla fine di questi romanzi che vogliono essere rappresentazione della complessità della società di oggi. Varesi insiste molto sull’idea che ciò che realmente costituisce il motore della narrazione nei suoi polizieschi non è la costruzione di una trama che conduca a scoprire il colpevole di un dato omicidio ma l’interrogarsi sulle ragioni che hanno spinto al gesto omicida.
Ecco dunque che il romanzo poliziesco così inteso diventa uno strumento per parlare d’altro. Di politica, di società e di Storia. Non tanto in modo diretto o esplicito quanto attraverso la rappresentazione di personaggi il cui vissuto e le cui azioni si spiegano attraverso il loro passato individuale e collettivo. È il caso chiarissimo dei due romanzi presentati in traduzione (che a onor del vero hanno sofferto abbastanza nel passaggio dall’italiano al francese, e soprattutto il primo): Il fiume delle nebbie e L’affittacamere.
Con il primo ci troviamo sulle rive del Po che minaccia di esondare, in una valle avvolta dalla nebbia e bagnata da una pioggia battente: si sente freddo e l’umidità fino alle ossa anche a leggerlo d’estate. Una barca va alla deriva e, quando la si ritrova la mattina seguente, il barcaiolo è sparito; poche ore dopo suo fratello muore defenestrato. Soneri inizia a indagare e, scoperto il passato fascista dei due fratelli, sospetta che ci sia un legame fra il loro passato e queste loro morti violente, e inizia a orientare le sue indagini seguendo questa intuizione.
Nel secondo, Soneri si trova a dover risolvere il caso d’omicidio della proprietaria di una pensione, a pochi giorni da Natale. Ma questo caso lo coinvolge personalmente perché è proprio in quella pensione che anni prima aveva conosciuto quella che sarebbe diventata sua moglie e che, al momento dei fatti, è deceduta. In questo caso il passato politico dei protagonisti si mescola alle vicende personali del commissario. Anche questa volta Parma è una città gelida, umida, costantemente immersa nella nebbia.
E infatti quando gli si chiede che ruolo abbia la nebbia nei suoi libri, vista la sua presenza non solo ricorrente ma quasi ossessiva, Varesi non esita a dire che quest’ambiente e la nebbia, in particolare, hanno quasi lo statuto di un personaggio come un altro all’interno dei suoi libri. La nebbia diventa la metafora non solo del mistero dentro cui il commissario si deve districare, non solo di uno stato d’animo ma addirittura una condizione esistenziale di Soneri: il non aver certezze, il credere nella ragione sapendo tuttavia che questa è limitata e miope, il muoversi nel dubbio, l’obbligo di essere visionari quando qualcosa impedisce di vedere.
Dopo la presentazione, il firmacopie e le chiacchiere scambiate con i lettori, la serata prosegue a tavola. Nel piatto ho un pesce impanato rettangolare certamente meno invitante delle cene di Soneri nelle trattorie parmensi. Intorno a me ho un giovane scrittore esperto di vini, Valerio Varesi giusto accanto, il suo editore francese, un libraio trotzkista logorroico e, più in là, in fondo alla tavolata, Jérôme che ordina un’ultima bottiglia di vino dopo aver bevuto il caffè.
Al momento di andare via, io e Varesi prendiamo lo stesso metrò. Quando scende, qualche fermata prima di me, lo guardo allontanarsi sul binario con passo lento, le mani nelle tasche dei pantaloni, le spalle leggermente all’ingiù. È proprio così che avevo immaginato i passi nella nebbia del suo commissario Soneri.
Manuela Corigliano