Sulla poesia del Terzo Millennio e la poesia Futurista
[…] ormai esistono in coabitazione due poesie, una delle quali è di consumo immediato e muore appena è espressa, mentre l’altra può dormire i suoi sonni tranquilla. Un giorno si risveglierà, se avrà la forza di farlo.
E. Montale, È ancora possibile la poesia?, 1975.
Nella corsa folle verso l’originalità letteraria, gli aspiranti scrittori sembrano aver dimenticato, o forse alcuni di essi non lo hanno mai saputo, che la grande letteratura italiana (così come la totalità di quel materiale scritto che è degno di far parte della letteratura mondiale) deve la propria nascita a modelli letterari a essa antecedenti. Può non essere immediato, però, l’annoverare tra questa letteratura fatta di riprese e modelli le Avanguardie stilistiche, le quali hanno rotto gli schemi letterari creando un tipo di poetica ex novo e che è stata in grado di dare i natali a una letteratura in fieri così come in divenire era il mondo a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. Esse comunque usavano una fonte che risulta essere loro sia precedente che contemporanea e, si potrebbe dire ancor meglio, universale: la Storia.
Per Storia s’intende sia quello scorrere di eventi nel fiume del tempo sia i più variegati aspetti della vita sociale; Montale, ad esempio, trattava la massificazione, Ungaretti gli orrori della Grande Guerra, e anche quel Marinetti che persuadeva i suoi Futuristi con il Mito della Macchina affondava le radici della sua poetica nella sua contemporaneità. Ma cos’è questo mito, che si è tradotto in poesia con la veloce poetica Futurista, se non il bisogno di adattare un nuovo tipo di poesia a una cultura che guarda al progresso tecnologico e “futurista” che andava, difatti, sviluppandosi negli anni a cavallo tra i due secoli sopra detti? Tali Avanguardie si proponevano di distruggere tutte le istituzioni culturali del passato, l’arte e i tradizionali modi di pensiero, in favore di un dinamismo che collimasse con le trasformazioni dell’epoca. Pensavano di dare una nuova spinta al mondo e nuovi modelli letterari: tali modelli non debbono intendersi come un’auctoritas da seguire e pedissequamente inseguire; potrebbero definirsi come degli specchi della realtà in cui il singolo poeta vede riflesso il suo modo di sentire intimamente il mondo circostante. Può essere, tra l’altro, questo il motivo per cui Marinetti, stilisticamente parlando, auspica l’uso di figure retoriche veloci, come l’analogia, la quale, seppur astrusa e non immediata a livello della logica razionale, ben esprime il fulmineo saettare della mente da idea a idea:
«Gli scrittori si sono abbandonati finora all’analogia immediata. […] (Hanno paragonato per esempio un fox-terrier a un piccolissimo puro-sangue […] . Io lo paragono invece a un’acqua ribollente. V’è in ciò una gradazione di analogie sempre più vaste, vi sono dei rapporti sempre più profondi e solidi, quantunque lontanissimi.)»
F. T. Marinetti, Manifesto tecnico della letteratura futurista, 1912.
L’analogia varia da percezione a percezione, da individuo a individuo, ed è per questo che i Futuristi non possono considerarsi come dei vati della poesia ma come dei fautori di modelli della propria poetica, come dei padri di sé stessi in cui nasce e si risolve la propria poesia. Ed ecco che per i poeti Futuristi bisogna rinunciare a essere capiti dal pubblico in queste strette reti di immagini senza fili.
«Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!… Perché dovremmo guardarci alle spalle se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’Impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente. […] Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori o polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; […]. È dall’Italia, che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria, col quale oggi fondiamo il «Futurismo», perché vogliamo liberare questo questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e d’antiquarii. Già per troppo tempo l’Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagl’innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri innumerevoli.»
F. T. Marinetti, Fondazione e Manifesto del Futurismo, 1909.
Non certamente immaginavano l’involuzione che, nel Terzo Millennio, avrebbe contagiato, sia letterariamente sia sofisticamente, parte della letteratura italiana. Si è esposto l’esempio dei Futuristi con uno scopo ben preciso: il fatto di non tener più in considerazione i modelli passati, le antiche auctoritates, sembra molto vicino alla tendenza odierna di voler puntare verso l’originalità letteraria. Eppure questo aspetto apparentemente comune, se analizzato a fondo, evidenzia le differenze abissali di tali concezioni di letteratura. Da un lato vi è la rivoluzione dei Futuristi, di cui si è in precedenza, seppur in maniera riduttiva, ragionato, mentre dall’altro lato vi sono tanti scrittori, o sedicenti tali, che sembrano quasi volersi presentare – sia implicitamente che esplicitamente – come eredi di tale poetica; questi ultimi, diversamente dai primi, non hanno ragione d’essere per il semplicissimo motivo per cui oggi, agli albori del terzo millennio, non esiste più quella società che ha originato il Futurismo, o meglio la Storia di quei tempi è ormai passata; la Storia di quei tempi non è la storia di questi tempi. Non ha senso una poesia libera da ogni schema che sia senza cognizione di causa alcuna. Al giorno d’oggi può, anzi, deve essere lanciata una poetica della nuova maniera che rispecchi la società nostra contemporanea, ma deve avere ragione di esistere e non “cantare” quella che sembra la presenza di un io lirico fine a sé stessa – come mi è a più riprese capitato di leggere. Essa deve avere come conditio sine qua non un riscontro con l’epoca in cui la Poesia vive. Ciò lo si può vedere dai Giganti della poesia tra i quali, si è detto, anche i Futuristi.
Allora sia la metrica libera, sia il sonetto, la ballata o la canzone o uno stile che ancora non si conosce perché non ancora codificato, ma che sia una forma cogitata e abbia una storia fondata su quella presente e non sulla falsa idea di quei molti che credono che un verso sia “un mezzo rigo e poi a capo”, inconsapevoli della frammentazione dell’io poetico che si ripercuote in metrica. Ecco allora il motivo per cui sono stati considerati i Futuristi; essi, volendo distruggere le antiche autorità letterarie e il pensiero filosofico tradizionale, conoscevano fin troppo bene la cultura da cui volevano prendere le distanze.
Salvatore Di Marzo
E’ sempre affascinante la questione delle Avanguardie, soprattutto se la paragoniamo ad oggi…Se ti interessa sto parlando proprio di questo nel mio blog 🙂
In ogni caso complimenti per l’articolo!
Ti ringrazio per i complimenti 🙂 Interrogarsi sui mutamenti della poesia nel corso delle epoche è sempre interessante. Visiterò con piacere il tuo blog 🙂