Quattro chiacchiere con Riccardo Ventrella- Fenomenologia della merendina

Notare un libro dal titolo Fenomenologia della merendina pubblicato da una casa editrice indipendente toscana, Edizioni Clichy, poteva mai lasciarmi indifferente? Per una Morettiana come me, il titolo non poteva che chiamare in causa una famosa scena di Palombella Rossa, così incuriosita inizio a leggerlo e mi ritrovo tra le mani un “catalogo ragionato di una nostalgia in 52 voci”, una per ogni settimana dell’anno. Il catalogo descrive la memoria emotiva di uno spaccato d’ Italia dell’ultimo mezzo secolo, magistralmente scritto da Riccardo Ventrella. Divorato il libro sono partita alla ricerca dell’autore e ho avuto modo di scambiare quatto chiacchiere con lui che spero vi possano far capire meglio il libro e incuriosirvi.

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D: Fenomenologia della merendina racconta la storia di tutti noi, in modo particolare la nostra infanzia. Vogliamo raccontare ai nostri lettori come è nato questo libro ?

R: Nasce dalla mia passione di raccontare oggetti e storie del recente passato, cose di modernariato si potrebbe dire, tra radio, televisione e social network. Fenomenologia della merendina nasce come rubrica settimanale su Facebook: non avevo mai pensato che potesse diventare un libro finché qualcuno non me l’ha suggerito.

D: Spieghiamo il titolo: perché proprio il mondo delle merendine? Il concetto della fenomenologia è per molti di noi legato a un concetto Proustiano, per altri (me compresa) richiama subito la scena di Nanni Moretti in Palombella rossa. Che cos’è quindi la fenomenologia della merendina?

R: La merendina è un oggetto che ha fatto parte della vita della stragrande maggioranza di coloro che sono nati dagli anni Cinquanta in avanti, in modo diverso ovviamente. Spazia dall’infanzia, all’adolescenza, alla giovinezza e non si ferma lì: come tutti gli oggetti quotidiani porta con sé dei ricordi indelebili. In realtà la premessa (seria) del libro era, sfruttando l’effetto Proust, di costruire una vera e propria fenomenologia dell’oggetto-merendina, estraendo da esso le esperienze collegate, che possono essere di vario tipo, dalla visione di una pubblicità a un modo particolare e quasi rituale di mangiare la merendina. Si scopre andando avanti nella lettura del libro che queste esperienze individuali costruiscono una precisa storia collettiva.

D: Se dovessi descrivere il libro in 3 parole?

R: Sono ricordi colorati

D: In realtà il libro dall’aspetto potrebbe sembrare un libretto, si legge velocemente, ma dal titolo si evince che forse l’intento è più profondo. Si ritrova anche un discorso, in modo ironico e leggero, sulle capacità aziendali di alcuni marchi: quello che oggi tanto va tanto di moda come “storytelling”. Come è cambiato nella storia delle merendine? Il mito del mulino bianco, le pubblicità oggi, gli incarti che raccontavano storie nel passato? Ha ancora tutto un grande fascino?

R: Il volume fa volutamente e orgogliosamente parte di una collana editoriale filosofica; se le premesse filosofiche, come detto, sono comunque un poco ironiche, c’è la ricostruzione di un periodo della storia d’Italia, soprattutto quello tra i Sessanta i Novanta, che vede prima le merendine essere simbolo del fiorire dell’industria e della creatività italiana, e poi espressione di un paese che cambia nei modi e negli stili di vita. Osservando le pubblicità con i loro testimonial e gli slogan, i packaging, le diverse tipologie di merendina si ritrova una parte importante della vicenda del nostro paese.

01_conduttori-300x300D: Se dovessi scegliere, per te qual è la merendina più epifenomenica?

R: Forse la Girella, perché combina una forma comunque innovativa, anche se legata alla tradizione del “tronchetto”, a una pubblicità rivoluzionaria, tra l’altro ispirata ai venti di contestazione di quella parte degli anni Settanta nella quale esce in commercio.

D: La merendina non è solo merendina, non è solo qualcosa di dolce, nel  catalogo si possono incontrare  creme spalmabili salate, i biscotti Tuc, le caramelle Rossana, la fenomenologia attraversa vari gusti?

R: Diciamo che attraversa varie connotazioni di “merenda”, andando comunque a pescare nel mito: si parla della crema di formaggio Dover, la prima mai arrivata al grande commercio, come delle gomme Brooklyn, concentrato di altissimo design, o delle Rossana, le caramelle che sapevano del cassetto del comò di nonna.

D: Nel libro si nota spesso come i regali sono sempre stati attraenti per commercializzare le merendine, non trovi che ora i regali siano più per la famiglia non solo per il bambino? la necessità del regalo? non basta la merendina a essere considerata un  regalo?

R: Ricordo che quando ero bambino (nella prima metà degli anni Settanta, ahimè), il regalo era un forte incentivo al consumo: c’erano delle vere e proprie utopie, come la mitica bici da cross che si vinceva con i Tin Tin, ma poi c’erano oggetti più a portata di mano che magari la famiglia non poteva comprare in negozio. Anche in questo il Mulino Bianco è stato un game changer, puntando a far regali che servissero alla famiglia e quindi a potenziare il novero dei soggetti che spingevano per l’acquisto.

D: La pubblicità che trovi più attraente per la sua comunicazione?

R: Forse proprio quella della Girella, più che altro per la consonanza al periodo in cui uscì: gli indiani che richiamavano gli indiani metropolitani mentre il Golosastro era il capitalista cattivo. E la morale che era sempre quella, far merenda con Girella.

D: Oggi le merendine che vita hanno? È solo consumismo o esiste ancora il piacere?

R: Vita difficile, tra nutrizionisti e sostanze proibite. Credo che oggi sia molto cool riprodurle in casa, o perlomeno sul web vedo girare delle gran ricette per fare Girelle e Tegolini domestici.

D: Nel libro spieghi come abbiano ormai sdoganato il potere dei genitori, e il tempo preciso della giornata da dedicare alla merendina, poco tempo fa un bambino è stato punito dalla scuola perché vendeva merendine ai compagni. Cosa non si farebbe per una merendina ?

R: In quel caso hanno punito, secondo me ingiustamente, lo spirito d’iniziativa di un singolo. Più in generale la merenda associata alla merendina ha la vita più dura oggi, un po’ perché “le merendine fanno male” (ed è vero se mangiate in grandi quantità) un po’ perché la famiglia tenta di riprendere il proprio posto.

D: Un’ultima domanda: 3 libri sui ricordi che consiglieresti ai nostri lettori?

R: Dancing Days (Laterza) di Paolo Morando, un libro che ricostruisce due anni cruciali della storia d’Italia, il 1978 e il 1979, alla luce del successo della Febbre del sabato sera; Autogrill. Una storia italiana (Mulino) di Simone Colafranceschi, che racconta la storia delle soste in autostrada. E il Dizionario dei Giochi (Zanichelli) di Andrea Angiolino e Beniamino Sidoti, al cui metodo di narrazione scientifica mi sono per molti versi ispirato.

 

Grazie a Riccardo Ventrella

Anna Chiara Stellato

Giovane napoletana laureata in lettere, da sempre innamorata della sua città, del dialetto e della storia di Napoli. Lettrice compulsiva, appassionata di cinema d’autore e di serie tv. Sorrido spesso, parlo poco e non amo chi urla.

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